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venerdì 21 agosto 2020

Lo Sapevate Che: NANNI LOY. Denuncia, impegno sociale, memoria storica: ingredienti del cinema di Giovanni Loy, uno dei migliori registi italiani del Novecento



Un ottimo modo per scoprire l'universo esistenziale e creativo del regista italiano Nanni Loy, ingiustamente tra i meno ricordati del cinema nostrano dagli anni Sessanta agli Ottanta, potrebbe essere forse quello di assistere all'intenso film documento "Nanni Loy, regista per caso", realizzato dagli stessi ritrattisti di Nazzari e Monicelli, ossia i sardi Carmen Nazzaro e Stefano Podda.
Attraverso una panoramica sulle scene di film come "Scugnizzi" o di programmi televisivi come "Specchio Segreto", insieme con le immagini, compresa quella scattata con Anna Magnani che più spesso ritroviamo nelle mostre a lei dedicate e le testimonianze di chi con lui aveva condiviso molto, tale preziosa raccolta ci racconta della carriera per caso di Loy, dell'impegno politico e civile che lo animava e delle dimensioni morale ed ironica, di cui tutta la sua opera sembra segnata. Non lascia inoltre indietro i temi più cari al regista, quali quello dell'emarginazione sociale, della lotta per la Resistenza e dell'amore viscerale per Napoli nonostante le origini di aristocratico sardo, che nulla hanno a che vedere con la città partenopea.
Nanni Loy, “regista per caso”
Nanni Loy, pseudonimo di Giovanni Loy nasce a Cagliari, il 23 ottobre del 1925 e muore a Fregene, piccolo comune della provincia di Roma, il 21 agosto del 1995. Esordisce la prima volta con il film "Parola di ladro" (1957), in co-regia con Gianni Puccini, altro noto regista e sceneggiatore italiano con cui firma l'anno successivo il loro secondo lavoro, intitolato "Il marito" (1958). È tragedia comica di un ladro gentiluomo e dagli echi Hollywoodiani, il primo e, commedia con protagonista Alberto Sordi, il secondo. Poi Loy gira nel biennio successivo l'"Audace colpo dei soliti ignoti" (1960), prima di approdare al successo e ai primi riconoscimenti del partigiano "Un giorno da leoni" (1961) e di "Le quattro giornate di Napoli" (1962). Sono film ispirati alla guerra e alla drammatica rivolta di cui i napoletani furono protagonisti a seguito di questa, il 28 settembre del 1943, quando l'intera popolazione con l'apporto di militari fedeli al Regno del Sud, riuscirono a liberare la città campana dall'occupazione delle forze armate tedesche.
È ammirevole come, nonostante il periodo di boom economico in cui le pellicole vengono lanciate, il regista si prodighi per riportare l'attenzione degli italiani sulle tematiche da poco superate su cui tanto c’è ancora da discutere. Qualche anno dopo, esattamente nel 1965, Loy, che si occupa da qualche tempo anche di televisione, raggiunge il massimo della popolarità con la serie "Specchio Segreto", che passa alla storia come il primo programma di candid - camera del nostro paese di cui Nanni Loy è autore e attore. Gira subito dopo "Il padre di famiglia" (1967), con Nino ManfrediUgo Tognazzi e Totò che, fatalità, ne gira la scena del funerale appena due giorni prima di spegnersi, e "Detenuto in attesa di morire" (1971), che per la prima volta, deputa ad un film il compito di denunciare senza mezzi termini tutta l'arretratezza del sistema giudiziario e carcerario italiano di quel periodo. È qui che il grandissimo Alberto Sordi interpreta il ruolo drammatico che gli vale l'Orso d'Oro al Festival di Berlino dell'anno successivo.
Nanni Loy, 'sistema il cinema e torna'
Non ne viene smentito lo spirito analitico e indagatore nemmeno in "Sistemo l'America e torno", interessante ritratto dell'America razzista di quegli anni. Il 1976 è invece l'anno del più leggero di "Signore e signori, buonanotte" e degli episodi diretti in "Basta che non si sappia in giro" e "Quelle strane occasioni". Si concentrano dunque nel decennio successivo una serie di altri titoli che ne riconfermano lo stile teso a rappresentare la realtà non solo criticamente, ma anche con tenerezza e ironia, un po’ alla maniera dei maestri De Sica e Gassman. Si tratta dei primi tre "Cafè Express" (1980), "Testa o croce" (1982) e "Mi manda Picone" (1984) in cui un giovanissimo Pino Daniele firma accanto a Tullio De Piscopo le musiche e dei più rinomati "Amici miei atto III" (1985), "Scugnizzi" (1989) e "Pacco, doppio pacco e contropaccotto" (1993).
Il terzo della serie di "Amici miei" è una catastrofe annunciata già nella sceneggiatura, la critica giudica netto lo scarto con gli altri due e il pubblico non gradisce. "Scugnizzi", invece, cui nel 2002 si ispirerà la versione musical "C'era una volta...Scugnizzi" di Enrico Vaime, rappresenterà una delle esperienza più significative del proprio percorso cinematografico e umano. Il film narra le vicende di alcuni dei giovani detenuti del riformatorio di Nisida, impegnati nella realizzazione di uno spettacolo teatrale.
Nanni Loy, un 'candido eroe'
Nanni visita insieme a Leo Gullotta, che è l'attore sotto la cui guida, i ragazzini imparano a recitare, le carceri minorili di Napoli. Entrambi rimangono scioccati, la camorra e il disagio giovanile sono ovunque, ma è il regista che ne soffre più di tutti fino a risentirne dal punto di vista dello stato di salute. "Fu un esplosione dentro di noi", dichiarerà più volte Gullotta. L'ultima pellicola per il grande schermo è, come abbiamo detto "Pacco, doppio pacco e contropaccotto", strutturato ad episodi e ambientato nella Napoli di fine anni Novanta, con i suoi mal costumi, la filosofia dell'arrangiarsi e del tirare a campare. I complimenti per la capacità propria della sua regia di dipingere i tratti caratteristici dell'italiano medio non soltanto per far ridere ma anche per far pensare e far crescere culturalmente il suo pubblico, si sprecano. Il fine educativo del suo operato non è mai secondario, le lezioni che spesso impartisce al Centro Sperimentale ne sono la prova. La stessa idea di cinema come servizio da rendere al pubblico si trasferisce inevitabilmente nell'attività di autore televisivo.
Nasce probabilmente con questo intento e con quello di diffondere la grandezza letteraria di Italo Calvino, la versione catodica in onda sulla Rai di "Marcovaldo" (1970), dall'omonimo romanzo dell'illustre scrittore. “Un candido eroe, con la faccia stralunata e triste" di Nanni Loy, che spiegherà la sua partecipazione alla trasmissione come attore, dichiarando: "Faccio l’attore per imparare a farlo, perché non lo so fare, perché recitare significa perfezionare o addirittura conquistare uno strumento in più nell'attività di regista; gli stessi Chaplin e Tatì sono nati come registi da attori, origini che si riconoscono".
Un lunga carriera dunque, focalizzata sull'attenzione al prossimo soprattutto quando vittima delle angherie del vicino. Un uomo che il direttore della fotografia Cirillo che con lui lavorava su vari set, definirà come un "sincero, vero e autentico democratico" con un rispetto per il lavoro, la personalità e se stesso senza pari. Un artista e un grande uomo che vale la pena conoscere per imparare che senza la fatica, la dedizione e una visione quasi artigianale del fare, poco di buono si potrebbe creare nel mondo del cinema come nella vita. - Cecilia Sabelli

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