Quando Il Mondo ci sembra impazzito, quando vacillano
tutte le nostre certezze, a che cosa possiamo aggrapparci? Io mi rifugio nei
libri. I classici di preferenza
(in questo momento sono in Guerra e pace di Tolstoj) perché nei grandi
dell’Ottocento ho l’impressione che tutto sia già stato scritto, e in maniera
insuperabile. È come sentirsi abbracciati da un maestro amorevole, un nonno più
saggio e lucido di noi, che ha già visto accadere tutto e il contrario di
tutto. Mi sono portato in vacanza il libo di Alessandro Barbero, Barbari,
Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano (Laterza) perché tante cose
mi affascinano della caduta di quella grande civiltà italica, mediterranea,
europea. I parallelismi inevitabili col declino storico dell’impero americano. E l’idea che la storia, a volte, procede
all’indietro. Dopo avere venerato il Progresso, dobbiamo misurarci con la
possibilità che esistano lunghi periodi di Regresso? Beh, l’Occidente dovette
aspettare il Rinascimento perché le élite recuperassero elementi di conoscenza
e analisi del mondo che erano stati all’apogeo nella cultura ellenistica. In
quanto a prosperità economica, per secoli nel Medioevo ci fu un impoverimento
rispetto ai momenti migliori dell’organizzazione sociale e produttiva di Roma.
L’Idea che i nostri figli debbano stare meglio di noi, così come noi abbiamo
goduto di ricchezze superiori ai nostri genitori, è un dato recentissimo, e si
è verificato per periodi molto brevi nella storia dell’umanità. In più il tema
specifico del libro di barbero è attualissimo: se e quando l’immigrazione
diventa “invasione”: in quali condizioni storiche è la popolazione immigrante,
quella che importa e impone i propri valori. Nel reparto audiolibri, quelli che
ascolto quando corro, per me è il momento di Da animali a dèi. Breve
storia dell’umanità di Yuval N. Harari (Bompiani, traduzione G. Bernardi).
Lo ascolto in inglese e preferisco il titolo originale: Sapiens. È un
capolavoro di divulgazione di altissimo livello. A seconda dei capitoli,
alterno momenti di sconforto, vertigine rassegnazione…E’ difficile non
riportare al presente questa storia che abbraccia molte decine di migliaia di
anni. Quella che noi chiamiamo Storia, pomposamente, è una vicenda brevissima,
l’equivalente di una microscopica frazione di secondo nella stagione del
pianeta e dei suoi colonizzatori umani. Da quando esistiamo, per la maggior
parte del tempo non siamo stati capaci di scrivere o di leggere. Non abbiamo
avuto fissa dimora: l’agricoltura l’abbiamo inventata da pochissimo, la parte
più lunga della nostra esistenza come specie è stata da nomadi, raccoglitori,
cacciatori. Per forza oggi giriamo in Suv, buttiamo bottigliette di plastica in
mare, eleggiamo Donald Trump che chiama i petrolieri al governo: siamo stati
quasi sempre una minuscola popolazione affamata e sparpagliata su un pianeta
immenso, dove non c’erano limiti alle risorse naturali. Siamo passati, in pochi
millesimi di secondo, da una logica di pura sopravvivenza al possesso di
capacità tecnologiche micidiali. Ma abbiamo ancora una corteccia cerebrale da
lucertoloni. La migliore descrizione di ciò che ha reso l’Homo Sapiens
superiore al Neanderthal? La capacità di raccontare storie, di costruire miti
(incluse le religioni), per avere valori comuni e con quelli organizzarci,
cooperare su vasta scala, costruire società complesse. Ance quando il fine
ultimo della cooperazione era quello di costruire l’armata più forte e
massacrare il popolo vicino. Lucertoloni che sognano, recitano a teatro,
compongono versi, piangono di fronte a una sinfonia di Tchaikovsky e al Requiem di Verdi, sorridono con
Cervantes e Flaubert, tremano con Kafka e Dostoevskij. Strane creature. E ci
stupiamo quando i nostri simili votano giallo o verde, anziché mattone o viola?
Federico Rampini – Opinioni – Donna di Repubblica – 7 Gennaio
2017 -
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