L’arte di ridere per sopravvivere che
illumina la comicità yiddish si riassume in un witz citato spesso da Moni
Ovadia: “Nel ’33 a Berlino c’erano due tipi di ebrei, gli ottimisti e pessimisti.
I pessimisti ora vivono a Manhattan”. Noi italiani dovremmo rifletterci, almeno
prima delle prossime elezioni. Come in nessun altro paese, l’ottimismo è in
Italia la chiave vincente della politica. Al posto dei programmi e dei partiti,
che non si portano più, abbiamo avuto leader soli al comando animati da una
dose formidabile di ottimismo della volontà, mai sfiorato dall’impopolare
pessimismo dell’intelligenza. Il berlusconismo è stato in questo senso
l’apoteosi del pensiero positivo, una luccicante fabbrica di balle e bolle
speculative. Milioni d’italiani si sono innamorati del racconto di un paese
felix col sole in tasca, alla vigilia di un nuovo boom, soltanto frenato da
alcune “toghe rosse” e intellettuali jettatori. Le minacce della globalizzazione,
gli squilibri in Europa, , l’assenza di politiche industriali, i treni perduti
nella ricerca e nella formazione, la fragilità del sistema di piccole imprese,
tutte queste erano soltanto lugubri menate di professorini rompiscatole di
sinistra: sfigati. Quando la crisi ha cominciato a picchiare, Berlusconi e
Tremonti vedevano soltanto ristoranti di lusso pieni. La Germania, quella sì,
era in crisi. Così milioni di topolini hanno seguito il pifferaio di Arcore
consegnando infine ai propri figli un catastrofico e un futuro precario.
L’ottimismo ora presenta il suo conto anche al gruppo Berlusconi. C’è voluta
una bella botta di ottimismo per pensare di schiantare Murdoch con i diritti
della Champions e poi per credere che Vivendi non avrebbe osato la scalata in
borsa. Ora occorre tanta fede e speranza per pensare di poterne uscire con
l’aiuto della Procura di Milano. L’ultima sbronza da ottimismo ha riguardato l
banche ed è appena costato, per ora, venti miliardi di tasse in più. Si doveva
intervenire sulle banche tre anni fa, prima che entrassero in vigore le nuove
regole del bail in. Ma perché? Le banche italiane andavano alla grande, al
solito “meglio che in Germania”. Ancora nel luglio scorso Matteo Renzi
assicurava che il Monte Paschi era risanato e comprare azioni era un affarone,
con tanti saluti ai gufi. Gli ottimisti che hanno seguito la dritta hanno perso
soltanto l’87 per cento dell’investimento, in sei mesi. A settembre il ministro
Padoan ha escluso l’uso di denaro pubblico, perché avrebbe di sicuro provveduto
il mercato. Ed ecco il prezzo di tanta speme: venti miliardi. Date retta agli
antichi greci: il gufo è un simbolo di intelligenza.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica - 6
Gennaio 2017-
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