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martedì 17 gennaio 2017

Lo Sapevate Che: Impariamo da Sandro Viola l'anticonformismo...



Quando Mi Capita di dover esprimere un’opinione e sono frenato da un dubbio, da un pregiudizio, dalla prudenza, penso a un vecchio amico, morto cinque anni fa. Era la contraddizione incarnata. Mi chiedo a volte quale sarebbe stato il suo parere, cerco di immaginarlo e finisco di scegliere quasi sempre quello opposto. In lui apprezzavo tanti aspetti, in particolare l’intelligenza e la sincerità, ma non tutti i suoi giudizi. Lo spirito di contraddizione in continua attività mi lasciava perplesso, anche se Albert Camus lo considerava “forse la più sottile di tutte le forze la più sottile di tutte le forze spirituali”. E gli antichi filosofi ritenevano la contraddizione un’opposizione che “di per sé esclude una via di mezzo”. In termini più spicci, un detto inglese dice che se il freno non funziona devi schiacciare l’acceleratore. Sandro Viola non esitava. Il freno non l’interessava. Affondava il piede sull’acceleratore. Ed è vero che aumentando la velocità, in certe occasioni, si riprende il controllo dell’automobile che sbanda. Ma un articolo, un discorso, le parole in generale non sono veicoli sull’asfalto di un’autostrada. E Sandro Viola era un giornalista. Un grande giornalista per il quale la parola, orale o scritta, era il principale strumento di lavoro. Una contraddizione equivaleva per lui a quella che per un’automobilista è una sgommata. Un’accelerazione brutale che Sandro non si sarebbe mai permesso al volante della sua ammaccata Volkswagen, ma che praticava in altra sede come un nobile hobby. Ha scritto per anni sull’Espresso. I vecchi lettori ricordano i suoi articoli asciutti, senza condizionali, a volte venali di ironia, le sue corrispondenze politiche o di guerra avare di aggettivi e di una sobria competenza. Era un cronista di grandi letture. Poi, sempre come inviato speciale, ha scritto sulla Stampa e sulla Repubblica. Ha partecipato alla fondazione di quest’ultima a fianco di Eugenio Scalfari, dando il meglio di sé stesso, che non era poco, benché lui fosse per natura, ma anche per scelta estetica un conservatore non sempre in sintonia con la linea politica degli amici. L’amicizia per lui contava: a coloro che la meritavano non risparmiava il privilegio dei suoi rimproveri e delle sue critiche. Non Esistendo nel panorama nazionale un campo conservatore in cui potesse sentirsi a suo agio (a Londra sarebbe stato un tory), aveva come amici e compagni di lavoro i liberali di sinistra, con i quali poteva condividere gusti e morale. In quanto al resto, alle idee, era affar suo. Entro i confini della lealtà, esercitava la critica con grande piacere. Chi era un bersaglio senza essergli amico lo accusava di snobismo. A lui non dispiaceva. Indossava la lealtà come gli abiti che si faceva fare su misura da buoni sarti. L’eleganza, anche nei gesti, la lealtà e la contraddizione ne facevano un personaggio non comune e talvolta non facile. Raro. Era un privilegio conservarlo come amico. In tante occasioni, non ti faceva correre il rischio di essere un imbecille senza saperlo. La contraddizione era spesso un’arma per respingere l’assalto del luogo comune. Sapeva essere paradossale. Meglio eccentrico che cretino. Nei tanti viaggi che abbiamo fatto insieme lo spirito di contraddizione in situazioni in cui sarebbe stato opportuno lasciarlo in letargo. Durante la Guerra indo-pakistana, che si concluse con l’indipendenza del Bangladesh, ci trovavamo tra Jessore e Khulna, e il generale indiano che comandava l’offensiva in corso ci spiegava il movimento delle sue truppe. Sandro gli fece notare che se ne vedevano sulla nostra sinistra, dove scorreva un fiume. Il dal coaì spiegò che quella zona era controllata dai muktibahini, i partigiani bengalesi che combattevano i pakistani. Sandro obiettò che ne aveva incontrati lungo la strada, venendo da Calcutta, e che erano tutti malandati e poco armati. Il generale ribadì che erano ottimi combattenti. Sandro replicò che senza armi o quasi non si può essere buoni combattenti. Il generale ci girò le spalle, impartì qualche ordine e due soldati ci invitarono a uscire dal comando e non ci offrirono la jeep con la quale eravamo arrivati. Così percorremmo a piedi alcuni chilometri lungo l’argine del fiume su cui pioveva qualche proiettile. Sandro mi pregò di non lamentarmi, perché ne arrivava soltanto uno ogni tanto. Ed era vero. L’artiglieria pakistana non esagerava. Gli davo spesso ragione, anche quando non l’aveva. Per devota amicizia.
Bernado Valli – Dentro e fuori – www.lespresso.it – 15 Gennaio 2917 -

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