Quando Mi Capita di dover esprimere un’opinione e sono
frenato da un dubbio, da un pregiudizio, dalla prudenza, penso a un vecchio
amico, morto cinque anni fa. Era la contraddizione incarnata. Mi chiedo a volte
quale sarebbe stato il suo parere, cerco di immaginarlo e finisco di scegliere
quasi sempre quello opposto. In lui apprezzavo tanti aspetti, in particolare l’intelligenza
e la sincerità, ma non tutti i suoi giudizi. Lo spirito di contraddizione in
continua attività mi lasciava perplesso, anche se Albert Camus lo considerava
“forse la più sottile di tutte le forze la più sottile di tutte le forze
spirituali”. E gli antichi filosofi ritenevano la contraddizione un’opposizione
che “di per sé esclude una via di mezzo”. In termini più spicci, un detto
inglese dice che se il freno non funziona devi schiacciare l’acceleratore.
Sandro Viola non esitava. Il freno non l’interessava. Affondava il piede
sull’acceleratore. Ed è vero che aumentando la velocità, in certe occasioni, si
riprende il controllo dell’automobile che sbanda. Ma un articolo, un discorso,
le parole in generale non sono veicoli sull’asfalto di un’autostrada. E Sandro
Viola era un giornalista. Un grande giornalista per il quale la parola, orale o
scritta, era il principale strumento di lavoro. Una contraddizione equivaleva
per lui a quella che per un’automobilista è una sgommata. Un’accelerazione
brutale che Sandro non si sarebbe mai permesso al volante della sua ammaccata
Volkswagen, ma che praticava in altra sede come un nobile hobby. Ha scritto per
anni sull’Espresso. I vecchi lettori ricordano i suoi articoli asciutti, senza
condizionali, a volte venali di ironia, le sue corrispondenze politiche o di
guerra avare di aggettivi e di una sobria competenza. Era un cronista di grandi
letture. Poi, sempre come inviato speciale, ha scritto sulla Stampa e sulla
Repubblica. Ha partecipato alla fondazione di quest’ultima a fianco di Eugenio
Scalfari, dando il meglio di sé stesso, che non era poco, benché lui fosse per
natura, ma anche per scelta estetica un conservatore non sempre in sintonia con
la linea politica degli amici. L’amicizia per lui contava: a coloro che la
meritavano non risparmiava il privilegio dei suoi rimproveri e delle sue
critiche. Non Esistendo nel panorama nazionale un campo conservatore in cui potesse
sentirsi a suo agio (a Londra sarebbe stato un tory), aveva come amici e
compagni di lavoro i liberali di sinistra, con i quali poteva condividere gusti
e morale. In quanto al resto, alle idee, era affar suo. Entro i confini della
lealtà, esercitava la critica con grande piacere. Chi era un bersaglio senza
essergli amico lo accusava di snobismo. A lui non dispiaceva. Indossava la
lealtà come gli abiti che si faceva fare su misura da buoni sarti. L’eleganza,
anche nei gesti, la lealtà e la contraddizione ne facevano un personaggio non
comune e talvolta non facile. Raro. Era un privilegio conservarlo come amico.
In tante occasioni, non ti faceva correre il rischio di essere un imbecille
senza saperlo. La contraddizione era spesso un’arma per respingere l’assalto
del luogo comune. Sapeva essere paradossale. Meglio eccentrico che cretino. Nei
tanti viaggi che abbiamo fatto insieme lo spirito di contraddizione in
situazioni in cui sarebbe stato opportuno lasciarlo in letargo. Durante la Guerra indo-pakistana, che si concluse con l’indipendenza del Bangladesh, ci
trovavamo tra Jessore e Khulna, e il generale indiano che comandava l’offensiva
in corso ci spiegava il movimento delle sue truppe. Sandro gli fece notare che
se ne vedevano sulla nostra sinistra, dove scorreva un fiume. Il dal coaì
spiegò che quella zona era controllata dai muktibahini, i partigiani bengalesi
che combattevano i pakistani. Sandro obiettò che ne aveva incontrati lungo la
strada, venendo da Calcutta, e che erano tutti malandati e poco armati. Il
generale ribadì che erano ottimi combattenti. Sandro replicò che senza armi o
quasi non si può essere buoni combattenti. Il generale ci girò le spalle,
impartì qualche ordine e due soldati ci invitarono a uscire dal comando e non
ci offrirono la jeep con la quale eravamo arrivati. Così percorremmo a piedi
alcuni chilometri lungo l’argine del fiume su cui pioveva qualche proiettile.
Sandro mi pregò di non lamentarmi, perché ne arrivava soltanto uno ogni tanto.
Ed era vero. L’artiglieria pakistana non esagerava. Gli davo spesso ragione,
anche quando non l’aveva. Per devota amicizia.
Tormentone di vita quotidiana e tante ricette culinarie italiane ed estere
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