Il signor Natale Ferraresi,
agricoltore 69enne di Ceneselli, in provincia di Rovigo, si è presentato
qualche settimana fa dal barbiere della piazza, si è fatto tagliare i capelli,
e quando è stato il momento di pagare ha tirato fuori il grano. Letteralmente:
73 chili di sacchi di grano. Il loro valore era infatti lo stesso del conto: 11
euro. Non è stata una goliardia, ma una provocazione per attirare l’attenzione
su un dramma dell’agricoltura italiana: il grano non vale quasi più niente. E
infatti a fine ottobre alcune sigle del settore sono scese in autostrada, la
A1. All’altezza di Siena, inscenando appunto il funerale del “grano estinto”. I
costi digestione sono alti, la concorrenza extraeuropea si fa sentire, e
secondo la Coldiretti le speculazioni hanno provocato nell’ultimo anno un
crollo del 43 per cento del prezzo del grano duro destinato alla pasta, sceso
sotto i 18 centesimi al chilo, e un calo del 19 per cento di quello del grano
tenero destinato alla panificazione, arrivato a 16 centesimi, mentre i compensi
dei contadini sono tornati ai livelli di trent’anni fa. In ballo ci sono la
produzione di grano made in Italy, la vita di oltre trecentomila aziende, ma
anche un territorio di due milioni di ettari che è a rischio desertificazione.
Ad aggravare la situazione ci si è messo anche l’ultimo terremoto, che sempre
per la Coldiretti, avrebbe messo a rischio 50 mila ettari di semine autunnali
di cereali, una produzione da 200 milioni di chili, perlopiù di grano duro ma
anche di orzo per la birra artigianale, in un contesto che ha visto il sisma
colpire in tutto tremila aziende agricole, che coltivano anche specialità come
la lenticchia di Castelluccio o la patata rossa di Colfiorito. Perché il grano
non è l’unico protagonista dell’autunno nero dell’agricoltura italiana. Anche
per l’olio d’oliva è stata una pessima annata. Per l’associazione europea
Copa-Cogeca, la produzione è in calo di oltre il10 per cento in tutta Europa:
in particolare si prevede un crollo del 30 per cento in Francia e di oltre il
37 in Italia, mentre la Spagna cede solo il 7. I dati che arrivano dalle
singole regioni della penisola confermano il tred: molto male la Sicilia (-42
per cento), mentre la Puglia che paga la Xylella,
la mosca olearia e la lebbra degli ulivi, vede un calo del 40 per cento della
produzione e un aumento del prezzo dell’olio del 54 per cento, da 3,70 a 5,70
euro al chilo. “Per il grano e l’olio abbiamo avuto una situazione opposta”, ci
spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti: “Per il primo
una grande raccolta ha abbassato drasticamente il prezzo, e si è assistito a un
recupero solo grazie alle voci di un calo della produzione del Canada. Per
l‘olio invece la scarsa quantità ha provocato tensione sui prezzi, con i
bilanci delle nostre aziende che saranno comunque negativi perché il settore
sarà costretto a importare dall’estero. Peraltro così aumenteranno i rischi di
frode nelle miscele con gli oli nazionali”. Ma non finisce qui. Anche altri
settori portano cattive notizie, come ha confermato un’analisi presentata
sempre dalla Coldiretti il 12 novembre. La produzione nazionale di castagne
rimarrà quest’anno inferiore ai 20 milioni di chili, appena il 30 per cento di
quella dieci anni fa, per effetto del clima e dei parassiti. In Campania, la
prima regione produttrice, il raccolto è crollato addirittura del 90 per cento
in un anno. Ma anche il vino novello è al minimo storico, con appena 2 milioni
di bottiglie, e calano anche tartufi (Il prezzo è salito del 13 per cento) e
miele: il raccolto di quello di acacia bio è passato da 437 a 184 tonnellate in
un anno, quello di acacia convenzionale da 266 a 91 ma più in generale, per il
consorzio Conapi, “il 2016 andrà in archivio come uno dei peggiori degli ultimi
35 anni”). Cambiamento climatico, mercato inquieti, terremoti. Queste le cause
dell’autunno nero italiano. Mancano solo le cavallette bibliche. Anzi, ci sono
pure quelle. Si chiamano cimici asiatiche e stanno infestando soprattutto il Nord
Est. “Il clima instabile fa sicuramente la sua parte, e stiamo assistendo a
fenomeni estremi sempre più frequenti, alluvioni e grandinate a macchia di
leopardo che si alternano a periodi di deficit idrici”, commenta Bazzana.
“Tuttavia una causa altrettanto importante è quella dei parassiti, che spesso
provengono dall’Asia, si diffondono sempre di più con la globalizzazione delle
merci e delle persone e quando si impiantano in un territorio nuovo non
incontrano inizialmente veri antagonisti. Da noi stanno danneggiando ad esempio
gli ulivi, come nel caso della Xylella, o il raccolto delle castagne, come fa
il Cinipide galligeno”. Cosa si può fare per ripartire? “Oltre a investire su
strumenti che ci proteggano da questi insetti, si deve puntare ancora di più su
quella che rimane la nostra salvezza, l’export. Pochi giorni fa l’Istat ha
confermato che è ancora in crescita del 4 per cento, e la politica dovrebbe
lavorare per rimuovere quelle barriere che lo ostacolano. Mi riferisco alle
sanzioni contro la Russia, che danneggiano ad esempio le mele venete Granny
Smith, i kiwi e l’uva da tavola, oppure alle normative doganali che complicano
gli affari con la Cina o con il Nord Africa. Barriere che però difficilmente
verranno abbattute in questa fase in cui come dimostra anche la vittoria di
Trump, soffia un forte vento di protezionismo.
Daniele Castellani Perelli – Economie – Il Venerdì di
Repubblica – 9 Dicembre 2017 -
Nessun commento:
Posta un commento