Dal Papà Che non fa svolgere i compiti per le
vacanze a suo figlio alla mamma che scrive sul diario una giustificazione per
la figlia che non ha voluto studiare una pagina del libro: sempre più vanno
diffondendosi nell’etere, via post, foto e articoli, feroci commenti di tanti
genitori che, invece di ricercare un confronto costruttivo con gli insegnanti,
al fine di dare vita a quella alleanza educativa tanto utile ai ragazzi, creano
un clima teso tra famiglie e istituzioni scolastiche che fa male a tutti, e in
primis danneggia bambini e ragazzi. Mi chiedo inoltre perché non si dia più
spazio alla filosofia nella scuola. Perché la si ritiene unicamente una materia
liceale e non si dia ascolto a chi, come me, vorrebbe introdurla fin dalla
scuola primaria. Non parlo di Socrate o Platone in pillole, parlo di forma
mentis da dare quando quella mente è ancora malleabile, e per giunta animata da
quella meraviglia che Platone riteneva innata e spontanea nei bambini, primi veri
filosofi, quindi. Caro professore, mi aiuti a diffondere questa mia ambizione:
portare la filosofia nelle scuole materne ed elementari, far capire a mamma e e
papà che gli insegnanti non sono loro nemici ma alleati, e che lo scopo
dell’educare è racchiuso nelle parole di Kant “Non bisogna insegnare pensieri,
bisogna insegnare a pensare”. I bambini, infatti, non sono vasi da riempire, ma
menti “meravigliose” da appassionare!
Michela Altoviti fareicompitiserenamente@gmail.com
Al Di Là Di Tutte le riforme della scuola che
immancabilmente si introducono a ogni cambio di Ministro, i mali della scuola
sono arcinoti, ma non si vogliono vedere nonostante la loro evidenza. Il primo
è costituito dagli insegnanti, molti dei quali o non conoscono la loro materia,
o non la sanno comunicare nel modo giusto, o non sono abbastanza carismatici da
affascinare i ragazzi che, solo se affascinati, trovano gusto e passione per lo
studio. Quando si ha carisma, da cui deriva un’automatica autorevolezza, la
disciplina non è un problema, e quando lo è, ciò è dovuto al fatto che il
professore non è all’altezza del compito. Il secondo problema sono i genitori i
quali, dopo che non hanno mai detto un no ai loro figli, e mai hanno chiesto
loro un sacrificio, per non avere conflitti in famiglia, invece di riprovare la
loro condotta indolente (eufemismo per non dir di peggio), riprovano la
condotta dei professori che, con le loro valutazioni, richiamano i ragazzi a un
minimo (e le dico minimo) impegno. Facendo i sindacalisti dei figli, i genitori
pensano di garantirsi il loro affetto e la loro stima, quando invece altro non
garantiscono che un apprezzamento per la loro indolenza. Il diritto allo studio
va assicurato solo a chi ha davvero voglia di studiare, dopo aver dato a tutti
la possibilità di farlo e di assaporare il piacere e il sacrificio che lo
studio richiede. Quanto alla filosofia è ovvio che, al pari delle lingue
straniere, sarebbe utile praticarla fin dalle elementari, alle quali i bambini
accedono avendo già avuto modo di porsi le domande filosofiche di quella
stagione dei “perché” (4 anni), quando chiedevano: “Perché se la terra che è
rotonda e gira intorno al sole, noi non ci capovolgiamo?”, oppure: “Come fa a
esistere Dio se non ha una mamma che l’ha messo al mondo?”. Questo tipo di
domande non ricevono mai una risposta seria e alla portata della loro età; i
genitori non hanno mai tempo, o non sapendo cosa rispondere chiudono con:
“Quando sarai grande capirai”. Così il bambino interiorizza che le domande che
fanno pensare non sono interessanti (visto che nessuno le prende in
considerazione), per cui è meglio non porsele e vivere spensieratamente (senza
pensieri, quindi da superficiali, per non dire da deficienti). La filosofia non
è solo, e neppure soprattutto, una materia scolastica. È un atteggiamento, un
modo di stare al mondo che stabilisce una differenza tra chi si pone problemi,
non solo teorici, e chi non se li pone, e quando gliene capita uno non ha
strumenti per affrontarlo e neppure capisce se è un vero problema no. E questo
vale anche per il dolore, a proposito del quale Eschilo diceva che “È un errore
della mente”. La mente, infatti, se ha solo quattro pensieri in testa, non ha
strumenti per affrontare il dolore, oppure, ancor peggio, il dolore è tanto più
acuto quanto meno si è capaci di relativizzarlo, dal momento che l’orizzonte
della nostra coscienza è troppo angusto, perché ci si è tenuti per tutta la
vita, e magari con orgoglio, lontani dalla cultura.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 14 Gennaio
2016 -
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