Ça va?, ça va et toi? Ça va, ça va. Ho sempre invidiato la capacità dei
francofoni di tutto il mondo di sostenere conversazioni di minuti soltanto
usando ça va. Come domanda, come
risposta, come intercalare, infine come opinione. Quando Doctor Dingaonarbe,
ricercatore universitario dell’Università di N’Djamena, Ciad (specializzato nel
Principe di Machiavelli) interrompe lo scambio di cortesie con un irrituale quanto
perentorio ça ne va pas, nella
sabbiosa capitale ciadiana, negli studi di una radio dove vengo ad incontrarlo,
non è più tempo di perdere tempo. Insegnanti, medici e tribunali sono in
sciopero generale da tre mesi. Il Paese ha scuole chiuse e ospedali che non
garantiscono più nemmeno i servizi di base. I salari vengono pagati col
contagocce, e più va avanti lo sciopero più si inasprisce la posizione del
governo. Che è lo stesso da 26 anni, guidato da Idriss Deby. “Socrate diceva
che perché ci sia democrazia deve esserci alternanza. Qui in Ciad non c’è
democrazia. Non si può nemmeno manifestare. Ma è arrivato il momento di stare
uniti e resistere. Alla fine vinceremo”, sentenzia Dingaonarbe. Cinque giorni
in Ciad sono niente per fare analisi, ma tanti militari armati tutti insieme in
tempo di “pace” non li avevo visti mai. Non si entra in palazzi o locali
pubblici senza venire sistematicamente perquisiti. Uno specchio viene passato
sotto le macchine per escludere la presenza di ordigni. Quella che si sta combattendo
è la guerra contro Boko Haram (che anche in Ciad ha colpito mortalmente più
volte) Insieme al calo del prezzo del petrolio sarebbe la “sicurezza” la causa
principale della crisi economica di un Paese che conta 400mila rifugiati
provenienti soprattutto da Sudan, Centroafrica, Nigeria e Congo (numero in
costante aumento che non comprende i 200 mila sfollati interni) su 13 milioni
di abitanti (l’Europa non riesce a gestirne 1 milione su oltre 500 milioni di
abitati). L’Unhcr cerca di facilitare la vita a chi in Europa, comunque,
difficilmente arriverà. I ciadiani, nonostante la crisi, non sono ancora
arrivati ad urlare “il Ciad ai ciadiani”, tanto irrilevante è il senso
culturale delle frontiere (ora quasi totalmente chiuse) da queste parti, dove
tutto si mischia da sempre a prescindere dai confini dati, che sia terrorismo o
accoglienza, conflitto o solidarietà. Viaggiare, è la cosa nota, aiuta ad
apprezzare ciò che si ha e ad imparare la difficile arte della convivenza
proprio laddove la si penserebbe più difficile.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica –
13 Gennaio 2017
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