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mercoledì 18 gennaio 2017

Lo Sapevate Che: Eutanasia modello Città del Messico...



Quasi Si Potrebbe Dire che con questo nuovo governo del quale si parla pochissimo, segno di quanto Renzi fosse ingombrante nella comunicazione politica, tutto sia fermo. Oppure no. Oppure potrebbe non essere così, perché messo in soffitta il Ponte sullo Stretto e sopita ogni contesa politica (più o meno significativa), si aprono praterie per dibattiti di cui l’Italia ha estremamente bisogno. Ed è proprio ora, ed è proprio nei momenti di apparente tranquillità, tra una tempesta appena finita e un’altra che si prospetta all’orizzonte – viviamo ormai così, pensando che la politica sia essa stessa emergenza – che chi ha istanze da portare avanti deve farlo perché l’agenda politica sia un’agenda completa, un’agenda che abbia a cuore non solo il litigio politico, il battibecco, lo scontro, ma che possa dare anche indicazione e avanzare proposte. Perché sia chiaro che il dibattito in Parlamento non si divide in argomenti che riempiono la pancia e argomenti che affamano compiacendo i buonisti. Perché Sia Chiaro che parlare di disoccupazione e di lavoro non collide con la cura di diritti che i nostri parlamentari sono chiamati a tutelare. Ho letto una notizia che vale la pena condividere e su cui credo sia necessario fare qualche riflessione, una notizia diffusa in Italia (nel momento in cui scrivo) solo dall’Aduc, l’Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori. Nella sua nuova Costituzione, Città del Messico ha riconosciuto il diritto all’eutanasia che è stato votato alla Camera cittadina con oltre il 60% dei voti. Quando sarà approvato, per la prima volta, il diritto all’eutanasia avrà rango costituzionale. Questa è una vera e propria rivoluzione. La Chiesa Messicana ha reagito immediatamente definendo Città del Messico una “capitale assassina”, ma io non posso fare a meno di pensare che stia provando a essere qualcosa di davvero dal luogo d’elezione dei cartelli criminali, da un paradiso terrestre da cui si preferisce scappare in cerca di democrazia, lavoro e dignità. Città del Messico è stata in prima linea nella difesa dei diritti degli omosessuali, così come baluardo nel difendere il diritto all’aborto che altrove, in Brasile ad esempio, è tuttora illegale se non per rari casi che comunque non tutelano la salute e la dignità della donna e del bambino. E quindi Cita del Messico riapre il dibattito, un dibattito che dovrebbe avere cittadinanza anche in Italia. Il dibattito su come sia possibile vivere dignitosamente se non si è liberi di decidere come morire. Se non si ha la certezza di poter disporre della propria morte senza che nessuno (stato o famiglia) possa interferire. A dieci anni dalla morte di Piergiorgio Welby, a otto dalla morte di Eluana Englaro, a uno dalla morte di Domique Velati, dopo appelli e proposte di legge, il Parlamento italiano deve discuterne una suk fine vita. Deve farlo nel rispetto di tutti i cittadini italiani di chi vorrà scegliere come morire o di chi ritiene di non volerlo fare, di chi ritiene che la vita sia un dono che non gli appartiene e di cui non può liberamente disporre. E prima, durante e dopo che il Parlamento si decida ad agire, devono farlo i media. Devono iniziare a parlarne, anzi. Deve tornare in televisione. Ci deve essere scontro, si deve anche urlare. Basta che se ne parli. Questo silenzio è la beffa più grande. Relegare tutto al lavoro di un manipolo di folli che di tanto in tanto raccontano una storia che sembra di solitudine umana più che di difesa di un diritto fondamentale, è quanto di più ingiusto possa accadere. Trattare il fine vita come un tabù, come fosse incesto o cannibalismo, è ancor peggio che sentire disaccordo. E infine Quello Scarto, quella crescita individuale, che poi diventa collettiva, nel mettere da parte non ciò che pensiamo e in cui crediamo, ma le nostre esperienze personali (“se accadesse a me…”. “io non permetterei che…” a vantaggio di ciò che rende più consapevoli tutti. Una legge sul fine vita, non deve votarla un Parlamento di atei, ma un Parlamento di credenti che però sappiano quanto la spiritualità sia affare personale e privato, quanto non possa essere la prassi (qui non si tratta di morale) cattolica a determinare azioni e decisioni prese in nome e per conto di qualcun altro.
Roberto Saviano – L’antitaliano – www.lespresso.it – 15 Gennaio 2017 -

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