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sabato 8 ottobre 2016

Lo Sapevate Che: L'alleanza fra scienziati e pazienti si stringe in laboratorio...



 Sedersi Al Bancone del laboratorio significa raccogliere ogni giorno una sfida, quella di contribuire al progresso della scienza. Ma per chi gli scienziati accettano di affrontarla? In laboratorio, lo facciamo ad esempio per Jonne che nella sua vita ha dovuto imparare a convivere con la Corea di Huntington, una malattia neurodegenerativa ereditaria. Causata dalla mutazione di un gene presente nel nostro Dna, provoca la morte di alcuni neuroni e compromette in modo irreversibile movimenti e funzioni cognitive. L’Huntington ha portato via dalla vita di Jonne prima Claudio, suo marito, poi Andrea, suo figlio. Nell’arco di 20 anni ha stravolto la sua esistenza e svuotato la sua casa, le ha fatto conoscere la speranza, il dolore dell’accettazione, la gratitudine della vita con i suoi cari, il rammarico di come avrebbe potuto essere. Sono tante le malattie. Tutte difficili da sopportare. Il nostro laboratorio alla Statale di Milano è dedicato all’Huntington con l’obiettivo di accrescere la conoscenza sulle sue cause e trovare un trattamento. Ma mentre corriamo per tagliare il traguardo della conoscenza e della cura, possiamo fare molto altro di concreto per le famiglie e i malati. Possiamo coinvolgerli, spiegare perché si segue una determinata linea di ricerca, raccontare le scoperte e farci raccontare le loro paure, facendole seguire dalle nostre, per poi condividere la gioia per un esperimento riuscito o il dispiacere per uno fallito. Accoglierli in laboratorio aiuta tutti a prendere atto della complessità di vivere una malattia e di studiarla. Le cronache di poche settimane fa sui malati di tumore che hanno rifiutato la chemioterapia per seguire trattamenti inesistenti, portando una coppia di genitori a perdere la figlia e due bambini a restare senza madre, dimostrano quanto importante sia condividere limiti, fatiche, conquiste di un lavoro fatto di piccoli passi giornalieri spesso impercettibili ai non ricercatori. Passi che richiedono il tempo che serve, nessuna menzogna, nessuna promessa se non l’unica possibile, quella della tenacia nel ricercatore. (..). Con questa stessa responsabilità le istituzioni devono guidare i cittadini verso percorsi di medicina fondati sulle certezze scientifiche e, invece, perseguire sistematicamente chi propone “cure” fondate su credenze e filosofie strampalate; chi, tecnicamente “criminale” propone vie alternative esoteriche  al trattamento di gravi malattie. Talvolta sono la solitudine e la disperazione dettate dal dolore di una diagnosi difficile che possono portare a dare ascolto alle sirene di chi vende pozioni e alle voci suadenti di chi fa mercimonio della speranza. E’ in questa delicata fase che le istituzioni, il mondo scientifico, i medici devono trovare il modo per avvicinarsi ai cittadini. Pur spettando al paziente l’ultima scelta, è essenziale che sia messo in guardia sulla inconsistenza e pericolosità delle “non cure” proposte. Non esiste la “medicina tradizionale con, accanto, la medicina “alternativa”. Esiste la medicina. Una medicina che deve essere pronta, anche culturalmente, a farsi carico delle incertezze a cui si è esposti quando di colpo ci si trova di fronte a una realtà dolorosa. Oltre alla malattia c’è la paura della malattia. Se “
toccasse” a noi, la prima richiesta sarebbe di non essere lasciati soli, di essere riconosciuti, capiti, ascoltati e accompagnati verso il più appropriato trattamento disponibile. I malati devono avere un punto di riferimento, un interlocutore esperto per quei momenti in cui la disperazione o l’emergenza di un fatto avuto prendono il sopravvento. Jonne fa degli ottimi dolci. Ogni tanto arriva in laboratorio con una torta, come si fa con i vicini di casa o con un amìco che non si vede da tanto. Un gesto per dire “ti ho pensato” e per chiedere “tu, però, non dimenticarti di me”. Un gesto affettuoso che ci àncora ogni giorno alle nostre responsabilità.

Elena Cattaneo – Opinioni – Donna di Repubblica - 1 Ottobre 2016-

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