Sedersi Al Bancone del laboratorio significa raccogliere ogni giorno una
sfida, quella di contribuire al progresso della scienza. Ma per chi gli
scienziati accettano di affrontarla? In laboratorio, lo facciamo ad esempio per
Jonne che nella sua vita ha dovuto imparare a convivere con la Corea di
Huntington, una malattia neurodegenerativa ereditaria. Causata dalla mutazione
di un gene presente nel nostro Dna, provoca la morte di alcuni neuroni e
compromette in modo irreversibile movimenti e funzioni cognitive. L’Huntington
ha portato via dalla vita di Jonne prima Claudio, suo marito, poi Andrea, suo
figlio. Nell’arco di 20 anni ha stravolto la sua esistenza e svuotato la sua
casa, le ha fatto conoscere la speranza, il dolore dell’accettazione, la
gratitudine della vita con i suoi cari, il rammarico di come avrebbe potuto
essere. Sono tante le malattie. Tutte difficili da sopportare. Il nostro
laboratorio alla Statale di Milano è dedicato all’Huntington con l’obiettivo di
accrescere la conoscenza sulle sue cause e trovare un trattamento. Ma mentre
corriamo per tagliare il traguardo della conoscenza e della cura, possiamo fare
molto altro di concreto per le famiglie e i malati. Possiamo coinvolgerli,
spiegare perché si segue una determinata linea di ricerca, raccontare le
scoperte e farci raccontare le loro paure, facendole seguire dalle nostre, per
poi condividere la gioia per un esperimento riuscito o il dispiacere per uno
fallito. Accoglierli in laboratorio aiuta tutti a prendere atto della complessità
di vivere una malattia e di studiarla. Le cronache di poche settimane fa sui
malati di tumore che hanno rifiutato la chemioterapia per seguire trattamenti
inesistenti, portando una coppia di genitori a perdere la figlia e due bambini
a restare senza madre, dimostrano quanto importante sia condividere limiti,
fatiche, conquiste di un lavoro fatto di piccoli passi giornalieri spesso
impercettibili ai non ricercatori. Passi che richiedono il tempo che serve,
nessuna menzogna, nessuna promessa se non l’unica possibile, quella della
tenacia nel ricercatore. (..). Con questa stessa responsabilità le istituzioni
devono guidare i cittadini verso percorsi di medicina fondati sulle certezze
scientifiche e, invece, perseguire sistematicamente chi propone “cure” fondate
su credenze e filosofie strampalate; chi, tecnicamente “criminale” propone vie
alternative esoteriche al trattamento di
gravi malattie. Talvolta sono la solitudine e la disperazione dettate dal dolore
di una diagnosi difficile che possono portare a dare ascolto alle sirene di chi
vende pozioni e alle voci suadenti di chi fa mercimonio della speranza. E’ in
questa delicata fase che le istituzioni, il mondo scientifico, i medici devono
trovare il modo per avvicinarsi ai cittadini. Pur spettando al paziente
l’ultima scelta, è essenziale che sia messo in guardia sulla inconsistenza e
pericolosità delle “non cure” proposte. Non esiste la “medicina tradizionale
con, accanto, la medicina “alternativa”. Esiste la medicina. Una medicina che
deve essere pronta, anche culturalmente, a farsi carico delle incertezze a cui
si è esposti quando di colpo ci si trova di fronte a una realtà dolorosa. Oltre
alla malattia c’è la paura della malattia. Se “
toccasse”
a noi, la prima richiesta sarebbe di non essere lasciati soli, di essere
riconosciuti, capiti, ascoltati e accompagnati verso il più appropriato
trattamento disponibile. I malati devono avere un punto di riferimento, un
interlocutore esperto per quei momenti in cui la disperazione o l’emergenza di
un fatto avuto prendono il sopravvento. Jonne fa degli ottimi dolci. Ogni tanto
arriva in laboratorio con una torta, come si fa con i vicini di casa o con un
amìco che non si vede da tanto. Un gesto per dire “ti ho pensato” e per
chiedere “tu, però, non dimenticarti di me”. Un gesto affettuoso che ci àncora
ogni giorno alle nostre responsabilità.
Elena
Cattaneo – Opinioni – Donna di Repubblica - 1 Ottobre 2016-
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