“Il cuore dei valori di Telegram è la libertà. Non solo la
libertà dal controllo e la libertà dall’oppressione, ma anche libertà dalle
limitazioni provate da molte persone con i loro vecchi sistemi di
messaggistica. La libertà è anche un mio valore personale”. Lo dice
all’Espresso Pavel Durov, il 31enne russo ideatore del social network VK e di
Telegram, l’app di messaggistica accusata di essere la principale piattaforma
per la propaganda terroristica in cui passano ordini, informazioni, avvengono
traffici e scambi di materiali sensibili come video, documenti e foto delle
ragazze rapite. La sua ampia diffusione in tutto il Medio Oriente e la
sicurezza dei dati che garantisce l’avevano portata ad essere raccomandata
dallo stesso Stato Islamico come strumento di comunicazione, specie dopo il
giro di vite di twitter su migliaia di account. Nel novembre scorso Telegram ha
chiuso in una sola settimana 78 canali di propaganda in 12 lingue, a seguito
delle segnalazioni ricevute dopo la pubblicazione sul canale “Khilafah News”,
ritenuto vicino all’Isis, di una mini guida in 5 punti su come evitare
infiltrati nelle comunicazioni private. Era la reazione all’annuncio degli
hacker di Anonymous di un imminente attacco informatico a reti e profili
utilizzati dal Califfato. Rafforzato il sistema di verifica delle segnalazioni,
Durov indica personalmente il link che porta alla spiegazione del motivo della
chiusura a chi fa pressioni per accedere alle informazioni degli utenti anche
per finalità antiterroristiche: “I messaggi delle chat cloud sono distribuiti
in data center nel mondo e controllati da diverse entità legali che a loro
volta sono controllate da giurisdizioni diverse. Le chiavi di decrittazione non
sono tenute insieme ai dati che proteggono. Possiamo essere forzati a
rilasciare qualcosa solo se un problema è abbastanza grave da mettere d’accordo
sistemi legali in tutto il mondo. Ad oggi abbiamo rilasciato zero byte di dati
ai governi”. Più conciliante la posizione di WhatsApp, applicazione di messaggi
proprietà del socil network Facebook. “Non c’è posto per il terrorismo su
servizi come WhatsApp. Offriamo un canale di risposte in caso di emergenza per
le forze di polizia e di sicurezza, e disabilitiamo tutti quegli account che
violano le nostre policy”, spiega Matt Seinfeld, portavoce del colosso
californiano. Anche l’App dal simbolo verde rafforza la lotta alla propaganda
terroristica con lo strumento della segnalazione, ma ha introdotto da poco la
crittografia nei messaggi tra utenti, la principale caratteristica della stessa
Telegram, il sistema “end to end”: le chiavi di decrittazione di un messaggio
sono contenute nei soli dispositivi di chi lo invia e lo riceve e sono
inaccessibili alla piattaforma stessa. Ma i motivi del successo del programma
di Durov tra i jihadisti sono anche altri. Mentre WhatsApp è legata al numero
di telefono dell’utente, Telegram permette di utilizzare uno username: in
questo modo si può essere contattati senza rendere visibile il proprio numero e
mantenendo la riservatezza. E poi c’è la possibilità di comunicare in canali a
cui possono iscriversi in migliaia, inviare file di grandi dimensioni, aprire
gruppi che contengono fino a 5.000 contatti e creare chat segrete con tanto di
comunicazione criptata, nessuna traccia lasciata sui server, timer di
autodistruzione del messaggio dopo pochi secondi e impossibilità di inoltrare
ad altri i contenuti.
S.L. Inchiesa – L’Espresso – 23 ottobre 2016 -
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