Anche la
scienza ha il suo “un per cento” di
super ricch che si erge sopra una massa di lavoratori precari e sottopagati,
una situazione che scoraggia sempre più studenti del perseguire il sogno di una
carriera scientifica. Lacia l’allarme la rivista Nature riportando i risultati
di una sua ricerca sui salari nelle facoltà scientifiche. Oltre metà dei 3.600
interpellati dichiara che aver scelto la scienza ha compromesso il suo
benessere economico, e il 20 per cento del campione consiglierebbe ai giovani
di abbandonare il settore. Le possibilità per gli aspiranti ricercatori sono
ridotte perché le università investono sempre più risorse per attirare le star
della scienza , che hanno più chance di vincere bandi e attrarre fondi statali.
Succede soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ma anche il resto
dell’Europa si sta adeguando: in Germania, segnala Nature, è cresciuto il
numero di docenti che negoziano al rialzo lo stipendio sulla base dei risultati
ottenuti, mentre in Cina le eccezioni salariati hanno soprattutto lo scopo di
attirare cervelli dall’estero. “In realtà la disuguaglianza è connaturata dalla
scienza: è premiato solo chi ottiene per primo un risultato di rilievo” spiega
Paula Stephan, economista del National Bureau of Economic Research americano, “
e il 6 per cento dei ricercatori produce circa il 50 per cento degli studi.
Questo disequilibrio dipende però non solo da capacità e motivazione, ma anche
dall’accesso alle risorse necessarie per fare ricerca. E d’altra parte,
l’accesso alle risorse dipende dalla reputazione, insomma è un cane che si
morde la cosa. Questa disparità fisiologica, è cresciuta molto negli ultimi
trent’anni. Il sistema più attendibile per misurarla è l’indice Gini, che va da
0 a1, dove 0 indica la situazione limite in cui tutti gli stipendi sono uguali
e 1 quella opposta, in cui il tutto reddito è concentrato nelle mani di una
sola persona. Questo indice, dagli anni 70 a oggi, nelle scienze ha visto un
incremento di oltre il 200 per cento mentre nella media nazionale è salito solo
del 18 per cento”. Senza dire che per chi occupa il grado più basso nella
piramide dell’accademia, i dottorandi, ci sono possibilità sempre minori.
“Negli Stati Uniti circa il 60 per cento dei dottori in fisica e biomedicina ha
questo obiettivo, ma le facoltà scientifiche permettono solo ameno del 20 per
cento dei laureati di rimanere a fare ricerca, una percentuale che è in calo
costante da anni”. Perché spariscono i posti nelle facoltà? “Per il loro costo,
che è collegato in parte al salario e in parte alla “dote” che le università
offrono ai nuovi ricercatori per mettere in piedi i propri laboratori: può
toccare anche 5 milioni di dollari, e su questo non si può risparmiare perché
si rischia, non producendo risultati importanti, di non vincere bandi e
ottenere fondi statali” spiega Stephan. Anche chi arriva a una cattedra
scientifica può poi avere motivi di insoddisfazione può poi avere motivi di
insoddisfazione confrontandosi con i colleghi: “In Gran Bretagna i salari dei
professori dei professori ordinari ariano da 50mila a 180 mila sterline,
toccate solo da pochi luminari: la media è 70.000” osserva Gianni De Fraja,
economista all’Università di Nottingham. E’ il frutto della negoziazione individuale
tra docenti e facoltà. Nel resto d’Europa prevalgono altri parametri, come
mostra il report di Nature. Ciò può spingere gli ambiziosi a trasferirsi nei
Paesi dove conta di più la negoziazione”. E dove è quindi maggiore la disparità
tra docenti di una stessa facoltà, fenomeno forse poco etico, ma che – per De
Fraja – in Gran Bretagna ha avuto un effetto chiaro: “Ha permesso di attrarre
qui qualsiasi ricercatore straniero che si volesse reclutare. Questo discorso
vale ancora di più per gli Usa: i cinque Nobel inglesi da quest’anno lavorano
tutti in America.”.
Giuliano Aluffi – Scienza – Il Venerdì di Repubblica – 28
Ottobre 2016 -
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