Perché non creare un videogame in cui,
invece di sparare alle astronavi, si cercano parassiti ematici? L’idea è venuta
a un giovane ricercatore dell’Università Politecnica di Madrid, Miguel Luengo
Oeoz. Oltre un milione di persone muore ogni anno di malaria, la maggior parte
perché non ha ricevuto una diagnosi tempestiva. Oltre un miliardo di persone
gioca abitualmente ai videogiochi. Riflettendo su queste due realtà, Oroz si è
reso conto che potevano comunicare tra loro. D’altronde il suo lavoro prevede
proprio questo: Miguel è una data
scientist, letteralmente scienziato dei dati, una nuova figura
professionale che integra conoscenze matematiche, statistiche e tecnologiche
per trasformare in informazioni, o idee, l’enorme mole di dati prodotta dalla
società digitale, ha pensato che l’intelligenza collettiva dei giocatori si
potesse mettere al servizio della comunità per combattere la malaria. Nella
diagnosi di questa malattia è necessario contare il numero di parassiti e
classificarli, cioè capire quale delle cinque specie di parassiti responsabili
della malaria sia presente nel sangue. L’efficacia della terapia dipende
soprattutto da questa analisi quantitativa e qualitativa, che però, spiega il ricercatore
“può prendere anche trenta minuti di tempo al microscopio. Senza contare che
nel mondo ci sono abbastanza specialisti per diagnosticare tutti i casi”. Da
qui l’idea di MalariaSpot, un’app per
computer e smarthone (sia Android che iOS) dove il giocatore, dopo un breve
tutorial, ha un minuto di tempo per individuare e contare i parassiti
all’interno di un vero campione di sangue digitalizzato. Se riesce a contarli
tutti, accede a un altro campione, e la caccia ricomincia. Dal suo lancio
(2012), oltre 100 milioni di persone si sono cimentate nel gioco e hanno
identificato più di un milione e mezzo di parassiti. Ma il riscontro decisivo è
arrivato da poco:Miguel Luengo-Oroz e il suo team del Politecnico di Madrid
hanno appurato che il conteggio effettuato dagli utenti di MalariaSpet è preciso quanto quello di laboratorio, ma decisamente
più veloce. Il loro studio, pubblicato
su The Lancer, dimostra che “la diagnosi collettiva mediante i videogiochi non
è affatto un’idea folle”. Ora però dovrà essere accuratamente valutata anche
dal punto di vista medico. A questo scopo i dati di ogni partita vengono
automaticamente archiviati sulla piattaforma informatica Amazon Web Service e
messi a disposizione della ricerca. Il team di Miguel, nel frattempo, lavora
alla seconda fase: “Grazie ai videogiochi, l’obiettivo è ottenere una diagnosi
delle malattie globali a basso costo e accessibili a qualsiasi persona, in
tutto il pianeta”.
Giulia Villoresi – Scienze -
Il Venerdì di Repubblica – 14 Ottobre 2016 -
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