Sarebbe una gran cosa se la campagna
referendaria sulla riforma costituzionale rimanesse ancorata ai contenuti e non
alla propaganda, ma temo si tratti ormai di una pia aspirazione. Il fronte del
No è troppo variegato, da Salvini a Grillo alla sinistra del Pd, per non
concentrarsi sul più facile degli slogan: a casa Renzi e il renzismo. Un tema
forte che lo stesso premier ha consegnato dal principio agli avversari. D’altra
parte il fronte del Sì, una volta accantonato per prudenza il leitmotiv del
plebiscito al capo, ha l’aria di non aver ancora trovato un messaggio
altrettanto semplice ed efficace e ondeggia fra la proposta di argomenti veri
ma inefficaci o efficaci quanto falsi. E’ vero per esempio che la riforma
garantirebbe maggior durata, stabilità e poteri ai governi, limitando l’azione
di “disturbo” delle opposizioni. Ma gli italiani nella Seconda repubblica hanno
sperimentato governi di lunga durata come i due ultimi Berlusconi e lo stesso
Renzi, assai attivi e con opposizioni deboli e divise, che pure non hanno
garantito alcuna crescita nel Paese. E’ efficace ma falso l’argomento del
taglio ai costi della politica. La Corte dei Conti ha stimato in appena 58
milioni il risparmio del nuovo Senato, una briciola. Si potrebbe ottenere dieci
volte tanto approvando una delle molte proposte di ridurre gli stipendi dei
parlamentari, senza riscrivere mezza Costituzione. Alla fine, il 4 dicembre si
voterà comunque pro o contro il governo. Era questa l’idea originaria di chi ha
voluto la riforma insieme all’Italicum. Allora il Pd era reduce del 40 per
cento alle elezioni europee e i sondaggi davano i Sì oltre il 60 per cento. Nei
progetti della maggioranza la sicura vittoria nel referendum costituzionale
avrebbe spianato al Pd di Renzi la strada di un trionfo elettorale. Poi il
clima è cambiato. La crudeltà della crisi crea bolle di consenso disperato che
si gonfiano e sgonfiano alla velocità della luce. Ovunque i nuovi poteri che
hanno voluto usare i referendum come plebisciti sono andati in rovina. I leader
scozzesi hanno perso il referendum sulla secessione. Cameron quello sulla
Brexit, Orban non ha raggiunto il quorum sul quesito antirifugiati. L’apparente
eccezione alla regola è stata il referendum voluto da Tsipras in Grecia contro
il nuovo memorandum di austerità, vinto alla grande. Salvo poi capitolare,
smentendo il voto popolare, di fronte al ricatto della trojka. Il risultato del
4 dicembre dunque segnerà in ogni caso una svolta, non soltanto per la storia
d’Italia.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica 14
Ottobre 2016 -
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