E Se Invece Domenica 4 dicembre vincesse il no? E’ vero,
fino a qualche mese fa sarebbe apparsa un’ipotesi impossibile. Poi le cose sono
un po’ cambiate, i sondaggi fotografano oggi una corsa incerta e, soprattutto,
è anche su scenari del no che si esercitano le cancellerie di mezzo mondo. Però
lasciamo pure da parte “Wall Street Journal” e Financial Times” (“Sarebbe più
grave di Brexit”), Angela Merkel (“Renzi unico interlocutore possibile”) e pure
l’ambasciatore Usa in Italia, il super gaffeur John R, Philips (“Niente più
investimenti”, “Dopo Brexit l’Europa non può permettersi un altro choc”) e
restiamo ai guai di casa nostra. Dunque, che succede se vince il no? Silvio B., appena tornato sulla tolda di
comando, ha ritrovato truppe divise e confuse. C’è chi pensa che una vittoria
del no possa ridare vita a Forza Italia, ormai solo l’ombra della macchina da
guerra che fu. Passaggio inevitabile, “Renzi a casa!”, come va urlando
Brunetta. L’ex Cav., invece, è più cauto. E’ convinto che una vittoria del sì
lo escluderebbe dalla partita, che il leader-premier non resisterebbe alla
tentazione di andare a elezioni anticipate e che queste, grazie all’Italicum,
regalerebbero Palazzo Chigi ai 5Stelle. E allora che vinca il no. Però senza
strafare e senza scalzare Renzi: un no plebiscitario gonfierebbe le vele di
grillini e leghisti, dice; una vittoria di misura restituirebbe invece a
Berlusconi ruolo e funzione, magari in un governo di unità nazionale che nasca
con il compito di sfornare una nuova legge elettorale di segno proporzionale,
sistema tornato improvvisamente di gran moda. Come B. la pensa Stefano Parisi,
impegnato in prove tecniche di leadership, e questo aggrava i malumori a
destra. Poi c’è la minoranza Pd, frastagliata come non mai: per alcuni la
vittoria del sì equivarrebbe a una svolta autoritaria, per altri sarebbe solo
un’occasione mancata; ma in tutti c’è la convinzione definitivamente asfaltati.
Questo comune senso del destino non basta però a tenerli uniti, anzi. D’Alema,
regista dei comitati per il no, immagina di mandare a casa Renzi e con lui il
partito della nazione. Su questa strada non lo segue Bersani: immagina che il
premier resti comunque al suo posto, ma si augura che il governo cambi verso,
insomma si liberi dell’abbraccio di Alfano e Verdini, e cerchi, l’appoggio dei
5Stelle per una nuova legge elettorale. (..). Nonostante I Distinguo dell’ultima ora, il premier si
presenterebbe al Quirinale dimissionario, e non solo per gli impegni presi: la
riforma è stata scritta dal governo e votata a colpi di fiducia, una volta
bocciata sarebbe impossibile fare finta di niente. Ma cosa deciderà Mattarella?
niente elezioni anticipate, si può prevedere: il Senato resterebbe quello che è
e non si saprebbe come eleggerlo: sarebbe necessaria una legge ad hoc. Oddio,
pasticcio per pasticcio, si potrebbe sempre votare per la Camera con l’Italicum
e per il Senato con ciò che resta del Porcellum dopo i rilievi della Corte, il
cosiddetto Consultellum, né più né meno che l’antico sistema proporzionale. Con
il risultato in una Camera ci sarebbe una maggioranza stabile, nell’altra no. E
non dimentichiamo che dopo il referendum l’Italicum passerà all’esame della
Corte (che in caso di vittoria del no diventerebbe persino pleonastico…).
Dunque un governo s’ha da fare: o politico, che viva il tempo di approvare la
nuova legge elettorale e portare il Paese al voto; o tecnico, per affrontare i
postum della crisi e il contenzioso con l’Ue; o pieno, nel senso che duri fino
al 2018, scadenza naturale della legislatura. E Renzi? Certo non rinuncerà a
far sentire la sua voce, se non altra da segretario del Pd, carica dalla quale
non si dimetterà. Insomma, parafrasando Mao Tse Tung, grande è la confusione
sotto il cielo del no.
Bruno Manfellotto – Questa settimana www.lespresso.it
-@bmanfellotto -2 Ottobre 2016
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