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martedì 4 ottobre 2016

Lo Sapevate Che: La Balena di Matera in visita a Napoli...



La più grande balenottera del Pleistocene è finalmente ano  riemersa dall’argilla, dove l’avevano lasciata nel 2007, quando il giornalista e filmaker Renato Sartini aveva raccontato su queste pagine della sua fortuita scoperta nella diga di San Giuliano, Matera, e dei faticosi lavori di recupero. Il fossile è rimasto  nei sedimenti del Materano per quasi due milioni di anni, e più precisamente dal Calabriano (fase del Plestocene che va da 1,8 milioni a 782 mila anni fa) fino al 2011, quando l’ultimo e più prezioso reperto, il cranio, è stato messo in sicurezza. Ma la storia della balenottera è ancora in parte da scrivere. Sartini torna a parlare di lei, questa volta in un documentario, Giallo ocra. Il mistero del fossile di Matera, che sarà presentato l’8 ottobre a Napoli in occasione di Futuro Remoto. Il festival, tra le più importanti manifestazioni scientifiche d’Europa, dedica l’edizione del suo trentennale, intitolata Costruire, a uno dei temi del momento, la social innovation, ovvero come idee e progetti innovativi possano migliorare la vita delle persone. Ma a Napoli si parlerà anche di Mediterraneo, e l’antico cetaceo potrebbe essere il più grande animale ad averlo abitato. Come spiega uno dei protagonisti di Giallo ocra (dal colore delle vertebre del fossile), Walter Landini, paleontologo dell’Università di Pisa che ha diretto la prima fase diretto la prima fase degli scavi, “il reperto di Matera potrebbe chiarire alcuni aspetti essenziali dell’evoluzione dei cetacei”. La balenottera era lunga circa 25 metri: tanto, ma oggi la balenottera azzurra e quella comune – rispettivamente 33 e 26 metri circa – la superano, e questo sembra confermare la teoria secondo cui le dimensioni dei cetacei sono via via aumentate in risposta alle glaciazioni degli ultimi due milioni di anni. Infatti, quanto più è grande la massa di un corpo tanto più lenta è la sua dispersione di   calore. Il Mediterraneo dove nuotava la balenottera non era solo più freddo rispetto a oggi, aveva anche una conformazione molto diversa. Spiega un altro protagonista  del documentario, il geologo Federico Boenzi: “Tra Appennino e Murge c’era un’immensa depressione colmata dal mare, l’Avanfossa Bradanica. Ora quel fondale si è sollevato di circa 400 metri per via della cosiddetta subduzione della zolla africana sotto quella euroasiatica. Cioè nella collisione tra le due placche, l’africana si è infilata sotto l’euroasiatica sollevando la crosta terreste (e dando origine agli Appennini). L’ultimo terremoto del Centro Italia è collegato a questo fenomeno. Ecco perché la balenottera era sulle colline, a 40 chilometri dalla costa. Molti altri dettagli sul grande cetaceo potranno essere chiariti dopo il restauro del fossile, che ora giace in casse custodide nel Museo archeologico di Matera. Restauro tanto più auspicabile visto che la balenottera potrebbe diventare uno dei fiori all’occhiello di Matera nel 2019, quando la città sarà capitale europea della cultura.
Giulia Villoresi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 30 settembre 2016 -

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