“Questo è un biglietto dal costo esoso
di due euro e mezzo per un premio che può essere abbastanza interessante per
una spesa da potersi fare alla Conad. L’estrazione sarà due giorni dopo la
chiusura della Festa. Posso cominciare ad acquisire le richieste di biglietti
per la riffa in questione?”. Pausa. La pioggia riempie il silenzio. I presenti
evitano con lo sguardo il banditore fissando il vuoto. L’uomo coglie l’impasse,
abbandona il lessico autoironicamente affettato, cerca concretezza e incalza.
“Qualcuno vuole partecipare? Vuole dare un contributo alla Festa? Eh. Smessi i
panni del venditore, l’uomo indossa perentoriamente e definitivamente quelli
del militante. “Vi chiedo due euro e mezzo per il Partito, la lotteria è un
pretesto come un altro, come una salsiccia o una bomba alla crema da comprare
allo stand, sembro un rompipalle ma sto facendo quello che in una Festa
dell’Unità si è sempre fatto senza doversi sentire in colpa, anzi, e voi lo
sapete bene, o forse no. Chissà chi siete, chissà per chi tifate”, sembra
pensare l’uomo mentre impugna il primo biglietto da vendere. Ma proprio quando
la leva fatta sui sensi di colpa altrui sembra essere quella giusta, proprio
quando l’empatia politica sembra ristabilirsi e materializzarsi, la ragazza
che, dando le spalle al militante, sta cercando di inquadrare il palco del
dibattito, spazientita si toglie le cuffie. “Mi scusi, ma se lei parla io non
sento niente, non riesco a lavorare, mi dà un po’ fastidio”, dice l’operatrice
tv al militante, che imbarazzato rincula sconfitto, sotto la pioggia. Tutto
avviene alla Festa del Pd di Roma, quella che in genere si fa d’estate ma che
la sconfitta elettorale ha fatto slittare sotto il diluvio di settembre. Gli
eroi che sono usciti da casa con l’ombrello per vedere D’Alema e Giachetti
azzannarsi col pretesto di un si o un no, per lo più non erano stati aggiornati
sulle novità di palinsesto. Il dibattito per gli avventori della Festa si è
deciso fosse il caso di offrirlo alla tv. Passare dal sentirsi prioritari in
quanto militanti al sentirsi marginali in quanto figuranti è un attimo. E tutto
si ribalta. L’operatrice che sta lavorando sotto la pioggia ha più ragione da vendere di quanti biglietti
della lotteria possa piazzare il militante. E a quel punto quello che succede
sul palco, davanti alle telecamere, non ha più importanza. La vita, la
passione, gli insulti tra tifosi sono tutti nel backstage, tanto violenti e
veraci dal vivo quanto invisibili da casa. Solo la pubblicità, per pochi
minuti, riporta il sereno.
Diego Bianchi – Il sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica
- 30 settembre 2016 -
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