“Ma qui c’è la giungla”, esclama il tassista quando la strada finisce in
una radura senza uscita. In effetti l’asfalto è finito e davanti a noi ci sono
solo fratte, ma chiamare giungla, anzi jungle,
quei dieci metri di disorientamento percorsi alla ricerca del civico giusto tra
le cassette allineate Milton Keynes, provoca in me una risata irrefrenabile
difficilmente spiegabile al conducente spazientito. Quello che il tassista non
sa è che mi sta portando a casa di uno
che la jungle, quella di Calais, l’ha
abitata, vissuta, odiata e amata per nove mesi circa, rischiando la vita
svariate volte per lasciarla o farci ritorno. Osama, anni trentuno, siriano
scappato da Aleppo, mi vede arrivare dalla finestra, apre la porta e mi viene
incontro seguito da due enormi cani bianchi. Sorridente, contento,
impeccabilmente casual, visibilmente dimagrito, mi fa strada nella sua nuova
casa, in questo paesino tanto perfetto quanto all’apparenza impersonale, a
un’ora circa di distanza da Londra. I padroni di casa, imprenditori
progressisti che lo ospitano da quando è arrivato, sono in vacanza in Francia,
ma Osama è perfettamente a suo agio nel ruolo di padrone di casa. Prepara un
piatto siriano pieno di ceci e cipolle, poi attraversa il grande giardino e
mentre supera un piccolo ruscello non posso non far caso alle eleganti scarpe.
Solo pochi mesi fa gli regalai due calosce per camminare nel fango, calzando le
quali teneva comunque ai piedi, a mo’ di doppio calzino, due buste contro
l’umidità. Accomodatici sul dondolo di casa, Osama racconta . “Dopo gennaio ho
passato mesi in giro per la Francia a cercare un modo per avere documenti
falsi. Quelli che ho avuto erano
fatti male, mi avrebbero preso, ho lasciato
perdere. Tornato nei pressi di Calais, dopo altri vani tentativi nei quali ero
stato trovato da cani e polizia e rimandato nella jungle, una sera ho visto un
camion parcheggiato nei pressi dell’autostrada con scritto GB. Non era previsto
ma aprii e saltai su, nascondendomi tra mille scatole di cartone. L’autista era
con una ragazza, salutata la quale si è messo in moto verso la dogana. a Calais
ci sono quattro controlli, francesi prima, inglesi poi. Ogni volta che il
camion veniva aperto pregavo. I controlli furono rapidi, pioveva. I cani con la
pioggia hanno difficoltà ad annusare l’uomo. Capii di essere sulla nave, di
avercela fatta. Mi ritrovai vicino a Bristol. Scappai dal camion senza che
l’autista se ne accorgesse. Quel giorno era il giorno della Brexit. Ora sto
qui, aspetto l’asilo. Faccio sport, studio inglese, non faccio niente, mi sento
inutile. Lavorerò qui, per tornare un giorno in Siria. Il Paese più bello del
mondo”.
Diego Bianchi - Il Sogno di Zoro . Il Venerdì di Repubblica –
1 Ottobre 2016 -
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