Caro professore, con
mio marito abbiamo visto La comune del regista danese Thomas Vinterberg, non un
gran film, ma non immaginavamo che avrebbe toccato così profondamente un nostro
nervo scoperto. Tema: la fedeltà coniugale. Siamo per festeggiare il nostro
46esimo anniversario di nozze e non ci siamo mai veramente traditi. Coppia
inossidabile, dicono di noi, ma da anni io so di profonde crepe. Non possiamo lasciarci (troppa storia bella
tra di noi). Le chiedo come sopravvivere alla mancanza di desiderio che
risiede, come quasi tutto, credo, nel nostro cervello e non nelle stelle: c’è
un modello? Coppia poligamica istituzionalizzata, coppia aperta anni’70, coppia
che si tradisce in silenzio, coppa in cui uno dei due accetta? Mi dia la sua
visione “a grandangolo” su una quaestio
che ci tormenta.
GabriellaVernole gvernole@gmail.com
La sua lettera è troppo strana perché
io possa darle una risposta “a grandangolo” come lei che chiede, ammesso che ne
sia in grado. E allora non mi resta che invertire le parti, e chiedere io
qualche chiarimento. Innanzitutto, la questione di cui mi parla è, come lei
scrive : “una quaestio che “ci” tormenta”, o che “la” tormenta? Perché se
tormenta tutti e due, per risolverla basta aprirsi entrambi ad altri affetti.
Se invece tormenta lei sola, allora il problema è più complicato,a comunque
risolto perché ma va comunque risolto
perché la rassegnazione spegne la vita. Una seconda cosa trovo ancora più
strana: dice che siete sposati da 46 anni, e siccome non avete contratto nozze
appena nati, dovreste avere un’età in cui il desiderio, di cui lei lamenta la
mancanza, si affievolisce come natura vuole. Oppure in lei non si è per nulla
affievolito, e allora non le resta che trovare la strada per soddisfarlo, a
meno che lei confonda la mancanza attuale del desiderio con la rinuncia a
occasioni a cui non ha aderito quanto il desiderio lo avrebbe voluto. In questo
caso però non si tratta di malinconia per l’estinzione del desiderio. (..). La
terza cosa strana è che lei mi dice che non vi siete mai lasciati perché
“troppo bella era la storia tra di noi” Verrebbe da dire: ma allora cosa
pretende? Non glielo dico, perché so che le persone anziane pretendono che torni la giovinezza che rimpiangono,
anche quando fanno la morale ai figli o ai nipoti evocando “sani principi” dei
loro tempi. Ho infine un ultimo dubbio, suscitato dalla sua lettera, là dove
scrive: “ Non ci siamo mai veramente traditi”. Che significa “veramente”? Solo
in sogno? Solo col pensiero? Solo con la fantasia? Solo con la tentazione? Solo
per mancanza di coraggio? E com’è un “vero” tradimento? (..) Quando il
tradimento ci offre l’occasione di scoprirlo, ci emancipiamo da quella
condizione infantile che non ci trattiene in quella “storia troppo bella tra di
noi” come lei scrive. Che è, sì, rassicurante, ma non può allontanare il
rimpianto, per dirla come Freud, “di aver barattato una parte della nostra possibilità
di felicità per un po’ di sicurezza”. Con questo non voglio fare l’elogio
incondizionato del tradimento, ma non posso neppure negare quello che la
sociologa Gabriella Turnaturi mette in evidenza nel suo libro Tradimenti
(Feltrinelli), dove scrive che quando lui o lei iniziano un viaggio fuori da
“noi” e che prescinde dal “noi”, tradiscono solo rispetto alle attese sociali o
ai precetti religiosi, mentre in realtà salvaguardano la loro individualità
dall’abbraccio mortale del “noi”, è. Nel viaggio che si intraprende fuori dal
“noi”, è il “noi” che si tradisce, e raramente il “tu”, dunque il suo rimpianto
per “non aver mai veramente tradito” è in realtà per non aver mai avuto la
forza di uscire dalla sicurezza e anche dalla beatitudine garantita dal “noi”,
rinunciando a conoscere davvero se stessa e i desideri e i sogni che si
sarebbero potuti dispiegare se il cerchio chiuso del “noi” non li avesse spenti
sul nascere.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 27 agosto 2016
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