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venerdì 9 settembre 2016

Lo Sapevate Che: Il talento di Ahmed che l'America non si sa meritare...



Un anno fa la storia di Ahmed Mohamed aveva indignato e poi commosso l’America. L’Adolescente inventore era stato arrestato in Texas dopo aver portato un orologio di sua fabbricazione in classe, solo perché il suo volto e il suo nome ne avevano fatto “automaticamente” un potenziale terrorista. A mostrargli solidarietà sui social media erano intervenuti prima il fondatore di Facebook Mark Zuckernerag e poi Barack Obama (“geniale il suo orologio”, twittò il presidente). Obama in seguito lo aveva invitato più volte alla Casa Bianca. Per ripagarlo dell’umiliazione subita, additarlo ad esempio e dimostrare che l’America accoglie a braccia aperte i talenti stranieri. Anche se islamici. Ma c’è un pezzo d’America che non la pensa così. E si è presa la sua rivincita. Mohamed non abita più fra di noi. Non gli bastava l’ammirazione di Obama, né l’essere divo diventato una piccola star nel mondo dei giovani cervelli appassionati d’invenzioni tecnologiche. Preferisce una vita tranquilla. Sembra il colmo. ma se la va a cercare nel Golfo Persico. Dove chiamarsi Ahmed  Mohamed, per lo meno, non attira l’attenzione. Donald Trump non c’entra stavolta. Ma i suoi ammiratori e seguaci nella v sì. Sono loro ad aver avuto l’ultima parola, nella vicenda cominciata il 15 settembre del’anno scorso. Quel giorno nel liceo di Irving, una cittadina del Texas vicino a Dallas, il 14enne Ahmed Mohamed arriva in classe portando il frutto di un suo progetto: appassionato di piccoli lavori ingegneristici, ha messo a punto da solo un orologio digitale. In una scatola a parte ha messo i cavetti che servono a collegarlo alla presa elettrica. Una prof d’inglese vede quei fili che escono dalla scatola, squadra Ahmed: bruno, capelli ricci nerissimi, le sue origini etniche sono inconfondibili (il padre è un arabo del Sudan, fuggito con la famiglia negli Stati Uniti per salvarsi dalle persecuzioni religiose). Altri prof di quella scuola conoscono le prodezze tecniche di Ahmed, spesso gli chiedono di aggiustargli computer e smartphone. Ma l’insegnante inglese non sa, e lancia l’allarme: bomba in classe. Arriva la polizia, Ahmed viene ammanettato e portato via. In commissariato lo interrogano senza la presenza di un legale. E anche se viene rilasciato dopo poche ore, arriva la sanzione della scuola: sospensione disciplinare. Della storia si accorge il quotidiano Dallas Morning News. Poi un blogger specializzato in tecnologia, Anil Dash. Il caso diventa virale, nelle prime 24 ore dalla notizia, un milione di americani, un milione di americani esprimono la loro solidarietà con l’adolescente, twittando #IdtandwithAhmed, “io sto con Ahmed”. Fino ad attrarre l’attenzione di Obama, di  Zuckerberg, e di tanti altri. Il ragazzino geniale viene invitato alla Nasa. Partecipa a una conferenza dell’Onu al  Palazzo di Vetro. Altro che ammanettarlo, l’America, progressista ne vuol fare un modello per tanti suoi coetanei. Ma l’attenzione di quest’America si dilegua col passare dei mesi. Le subentra un’altra nazione, feroce e crudele, la sua gemella nemica. Razzista, Islamofoba, in cerca di vendette contro il gesto pianificatore di Obama. Nei social media di descrivono tra cominciano le insinuazioni: Ahmed e la sua famiglia sarebbero degli imbroglioni in cerca di fama. Peggio, alcune teorie del complotto lo descrivono come un docile strumento nelle mani di gruppi islamici che vogliono screditare la polizia del Texas. Arrivano minacce, anche di morte. Via via che la storia di Ahmed sparisce dalle prime pagine dei giornali, altri media più discreti ma tenaci se ne impadroniscono. La trasformano in una contro storia. La notorietà diventa un pericolo. Il ragazzino non regge allo stress, il padre teme per il suo equilibrio. Arriva, benefica, l’offerta di una borsa di studio dalla Qatar Foundation. I legali di Ahmed convocano una conferenza stampa e annunciano: la famiglia si trasferisce a Doha. Trump non c’entra, col caso Ahmed, però ogni giorno sdogana il razzismo, la xenofobia, l’islamofobia. Invoca esami di religione alla frontiera Usa per tener fuori i musulmani. La fuga di Ahmed ci ricorda che quando vince il pregiudizio e diamo caccia ai diversi, alla fine restiamo tutti un po’ più poveri.
Federico Rampini – Donna di Repubblica – 3 settembre 2016 -

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