“I Giovani Di Oggi? Non li invidio”, a parlare è Felice
Pizzuti, professore di Politica economica alla Sapienza di Roma, che racconta
come il modello del contributo puro (con la pensione strettamente proporzionale
ai versamenti e alla crescita del Pil) funziona “a patto che non ci siano
interruzioni nei contributi e che il Pil cresca e di pari passo aumentino anche
le retribuzioni. Due condizioni che, per com’è strutturato l’attuale mercato
del lavoro e per com’è messa in questo momento l’economia italiana, non si
stanno verificando”, avverte il professore, che ipotizza, fra venti-trent’anni
una massa di anziani poveri con cui fare i conti. Pizzuti sostiene la necessità
di meccanismi solidaristici all’interno del bilancio pensionistico come
l’istituzione di un fondo per i giovani in modo da includere nella storia
contributiva di ciascuno i periodi di disoccupazione involontaria. Proposta
finora inascoltata. Il Sistema Introdotto dalla legge Fornero funziona un po’
come il gioco dell’oca. Facciamo un esempio: una persona viene assunta nel
1996, andrà in pensione a 66 anni, come prescrive la norma, ma solo a
condizione che il primo assegno mensile della pensione sia almeno 2,8 volte
l’assegno sociale, che è quello riconosciuto alle persone a basso reddito.
Dunque, il nostro pensionando dovrà avere una pensione di almeno 1.254 euro.
Altrimenti si salta il giro e si continua a lavorare fino a 69 anni. Qui c’è un
altro test: stavolta la pensione deve essere almeno 1,5 volte l’assegno
sociale, cioè 672 euro. Non è così? Si perde un altro turno e si va avanti a
sgobbare fino a 73 anni. Un gioco pericolosissimo perché si rischia di creare
una generazione di anziani che si barcamena tra lavori saltuari, pensioni
inavvicinabili e povertà. La Soluzione è ridurre la prima soglia ed
eliminarla seconda, ma per questo mancano le risorse e il Governo ha quindi
pensato di tamponare emergenza con l’Anticipo Pensionistico, l’Ape, che
tuttavia non convince Pizzuti: “La proposta introduce elementi di flessibilità,
ma crea problemi di disuguaglianza, perché per lasciare il lavoro anni prima
(fino a 3 anni e 7 mesi) rispetto alle prescrizioni della legge Fornero
occorrerebbe contrarre un prestito bancario da restituire a scapito della pensione.
Nessun problema per chi avrà un assegno alto, in cambio di una decurtazione
potrà ritirarsi prima dal lavoro, chi invece può contare su una pensione scarna
difficilmente potrà abbassarla pur di uscire in anticipo dalla vita lavorativa,
perché una rendita di 800 euro si ridurrebbe a 640”.Lo Stato dovrà anche farsi
carico”di un assicurazione a favore delle banche nel caso in cui il pensionato
muoia prima di saldare il suo debito”, spiega Pizzuti, che calcola un onere
complessivo per le finanze pubbliche attorno ai 700 milioni di euro, che si
aggiungerà ai costi di altri possibili interventi (anticipo pensionistico per i
lavoratori precoci, aumento dei beneficiari della “quattordicesima”,
ricongiunzione gratuita dei periodi contributivi). L’intero “pacchetto
pensioni” costerebbe quindi oltre 3 miliardi, mentre le disponibilità del
governo sono fissate intorno alla metà. “Ma resta da affrontare – nota
l’economista – il problema strutturale della massa di pensionati poveri in
arrivo nei prossimi due-tre decenni che, per come funzionano i sistemi
pensionistici, si deve affrontare per tempo; ed è già tardi”.
Roberto Pizzuti – Previdenza negata – L’Espresso – 4
settembre 2016 -
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