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mercoledì 15 giugno 2016

Lo Sapevate Che: Smettiamola di crederci padroni del mondo...



Abbiamo ascoltato le parole del Papa che nega l’amore per cani e gatti in quanto lo toglierebbe ai vicini di casa. Quanto male hanno fatto le parole del Papa agli esseri senzienti, diversi da noi, ma figli anch’essi della Natura e quindi di Dio, che secondo gli scienziati firmatari della dichiarazione di Cambridge, hanno coscienza! La sofferenza è sofferenza sia degli animali che degli uomini umani. E negare compassione agli animali rappresenta quella parzialità d’amore che il Papa sollecita come fosse una virtù anziché una mancanza. Classificare porta a dividere, e dividere porta a valutare: prima i bianchi e poi i neri, prima gli uomini e poi le donne, prima i potenti e poi gli inermi, prima questi e poi quelli. Noi preferiamo non chiudere l’amore in compartimenti stagni e diciamo con Alphonse de Lamartine: “Noi non abbiamo due cuori: uno per gli animali, l’altro per gli umani. Nella crudeltà verso gli uni e gli altri, l’unica differenza è la vittima”.   Gabriella Costa  www.caart.webnode.it
Il Papa non ha “negato l’amore per cani e gatti in quanto lo toglierebbe ai vicini di casa”, ha semplicemente detto che spesso si riservano agli animali amore e cure che si negano agli uomini. E’ cosa ben diversa da quello che lei attribuisce a papa Francesco, il quale, proprio perché ha scelto per sé quel nome e ha intitolato una sua enciclica Laudato si’, non può ignorare le lodi che Francesco d’Assisi riservava agli animali e a tutti gli enti di natura. Detto questo, lei afferma nella sua lettera una cosa importante: “Classificare porta a dividere e dividere porta a valutare: prima i bianchi e poi i neri, prima gli uomini e poi le donne, prima questi e poi quelli”. Questa gerarchia è stata inaugurata dalla tradizione giudaico-cristiana che ha posto l’uomo al vertice dell’universo assegnandogli il dominio su tutto il creato: “Poi Iddio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza: domini sopra i pesci del mare e sugli uccelli del cielo, su gli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie” (Genesi 1,26). In questo modo la tradizione giudaico-cristiana ha stabilito una gerarchia che prevede al vertice l’uomo, inaugurando quella cultura antropocentrica che ha portato a trattare la terra come semplice materia prima, con tutte le catastrofiche conseguenze di cui oggi incominciamo a renderci conto. Non così i Greci antichi. Scrive Platone: “Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo rapporto con il cosmo e un orientamento a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il Tutto e per la felice condizione dell’universa armonia. Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica”. (Leggi, X, 903c). Aver dimenticato il messaggio greco e privilegiato quello della tradizione giudaico-cristiana non ha consentito di costruire in Occidente una morale che si faccia carico degli enti di natura. (..). E’ ovvio che non bastano i buoni propositi per salvare la terra e tutti quelli che la abitano, piante e animali compresi. Quel che occorre è un radicale capovolgimento nel modo di pensare che, come intendevano i Greci, ponga la natura e non l’uomo al centro dell’universo. Questo capovolgimento va poi interiorizzato, perché le sole a essere osservate sono quelle leggi morali che si sono tradotte in convincimenti psichici. Come l’omicidio o la violenza sessuale, che ricevono una condanna immediata da parte di chiunque, a differenza per esempio dell’inquinamento o della contraffazione, che non suscitano un’ analoga reazione. Quanto poi agli animali, non ritengo che li amino quelli che li tolgono dal loro ambiente naturale per costringerli nei loro appartamenti dopo averli castrati per evitare che generino come natura detta e spargano odori nei gironi di calore. Allo stesso modo non li amano i cacciatori che li uccidono non per cibarsi come un tempo facevano i nostri progenitori, ma per piacere. Forse è meglio prendersela con loro che con un messaggio del Papa, per giunta frainteso.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 11 giugno 2016 -

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