Sono reduce da un periodo impegnativo.
Per alcune settimane il lavoro mi ha risucchiato. Scadenze, incombenze, urgenze
erano l’unico faro del mio limitato orizzonte. Ero posseduta da un’ansia
divorante e dalla fastidiosa sensazione di essere in ritardo. Di notte
inseguivo mete, confuse ma vitali.(..). Di giorno, quando non ero fuori,
trascorrevo ore e ore barricata in una stanza, originariamente deputata ai
giochi e alle istanze indipendentiste del primogenito, ma, d’imperio e
prepotenza, divenuta presto il mio scalcinato regno, tana e rifugio in un
appartamento densamente popolato (..). Convengo che gli affanni lavorativi, se
non diventano strutturali, sono acciacchi blandi e comuni, spesso forieri di
buona coscienza e, in certi casi, di soddisfazione, oltre che di sollievo, una
volta superati. (..). Devil is in the details, il diavolo è nei dettagli,
dicono gli anglosassoni. Ma non solo lui. L’intera vita è lì, nelle pieghe
della nostra quotidianità frettolosa, nell’incanto di un attimo che passa,
nelle parole dense e preziose, pronunciate quando nessuno le aspetta. I miei
figli, come credo e spero, i figli di tutti, non parlano quasi mai nei momenti
deputati alla conversazione. “Com’è andata la scuola?”. “Normale”. “Raccontami
come stai”. “Mpf”. “Cosa ti è piaciuto?”. “Bah”. “Cosa mi racconti?”. “Niente”.
Non è intorno a una tavola, durante un viaggio in macchina o seduti su un
divano che si estraggono le perle o le informazioni. (..). Per anni mio figlio
apriva cuore e pensieri solo ed esclusivamente quando era sul gabinetto. Mi
ordinava di sedermi di fronte a lui, sulle piastrelle fredde del bagno. E solo
quando era sicuro che fossi totalmente concentrata sui suoi piedi penzoloni
cominciava a parlare, di sé, dell’asilo, dei suoi sogni visionari a Bologna con
il nonno. “A Bologna, il nonno ed io, mangiamo orate e cioccolata”, diceva,
guardando un punto lontano dietro il muro. Era irrilevante che lui, a Bologna, con mio padre, non ci
fosse mai andato. (..). Il piccolo parla solo sotto le lenzuola, su un letto
rigorosamente matrimoniale, quando gli altri maschi non guardano e non sanno.
L’intimità è una magia luminosa e fragile, una pianta delicata che va accudita
con costanza, un’alchimia instabile che rischia di evaporare con un colpo di
tosse. Per settimane, chiusa nel mio antro, ho mancato quegli attimi rari in
cui i cuori si aprono e le parole si sciolgono. Ho trascurato i corridoi, le
lenzuola e il bagno. E sono rimasta indietro, sola, orfana di una vitale, seppur
incidentale, condivisione. E ora mi apposto negli angoli strategici. Li aspetto
al varco. “Ehi! Che spavento! Cosa ci fai dietro la porta, mamma?!”.
Niente…passavo”. “…”. “Ehm, non hai nulla da…”. “No”. Sarà dura recuperare il
terreno perduto. Mi armerò di diabolica pazienza. E, mal che vada, mi
parleranno per sfinimento.
Elasti – Donna di Repubblica – 11 giugno 2016 -
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