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lunedì 20 giugno 2016

Lo Sapevate Che: Ragazzi, mamma è a casa! Chi parla con me?...



Sono reduce da un periodo impegnativo. Per alcune settimane il lavoro mi ha risucchiato. Scadenze, incombenze, urgenze erano l’unico faro del mio limitato orizzonte. Ero posseduta da un’ansia divorante e dalla fastidiosa sensazione di essere in ritardo. Di notte inseguivo mete, confuse ma vitali.(..). Di giorno, quando non ero fuori, trascorrevo ore e ore barricata in una stanza, originariamente deputata ai giochi e alle istanze indipendentiste del primogenito, ma, d’imperio e prepotenza, divenuta presto il mio scalcinato regno, tana e rifugio in un appartamento densamente popolato (..). Convengo che gli affanni lavorativi, se non diventano strutturali, sono acciacchi blandi e comuni, spesso forieri di buona coscienza e, in certi casi, di soddisfazione, oltre che di sollievo, una volta superati. (..). Devil is in the details, il diavolo è nei dettagli, dicono gli anglosassoni. Ma non solo lui. L’intera vita è lì, nelle pieghe della nostra quotidianità frettolosa, nell’incanto di un attimo che passa, nelle parole dense e preziose, pronunciate quando nessuno le aspetta. I miei figli, come credo e spero, i figli di tutti, non parlano quasi mai nei momenti deputati alla conversazione. “Com’è andata la scuola?”. “Normale”. “Raccontami come stai”. “Mpf”. “Cosa ti è piaciuto?”. “Bah”. “Cosa mi racconti?”. “Niente”. Non è intorno a una tavola, durante un viaggio in macchina o seduti su un divano che si estraggono le perle o le informazioni. (..). Per anni mio figlio apriva cuore e pensieri solo ed esclusivamente quando era sul gabinetto. Mi ordinava di sedermi di fronte a lui, sulle piastrelle fredde del bagno. E solo quando era sicuro che fossi totalmente concentrata sui suoi piedi penzoloni cominciava a parlare, di sé, dell’asilo, dei suoi sogni visionari a Bologna con il nonno. “A Bologna, il nonno ed io, mangiamo orate e cioccolata”, diceva, guardando un punto lontano dietro il muro. Era irrilevante  che lui, a Bologna, con mio padre, non ci fosse mai andato. (..). Il piccolo parla solo sotto le lenzuola, su un letto rigorosamente matrimoniale, quando gli altri maschi non guardano e non sanno. L’intimità è una magia luminosa e fragile, una pianta delicata che va accudita con costanza, un’alchimia instabile che rischia di evaporare con un colpo di tosse. Per settimane, chiusa nel mio antro, ho mancato quegli attimi rari in cui i cuori si aprono e le parole si sciolgono. Ho trascurato i corridoi, le lenzuola e il bagno. E sono rimasta indietro, sola, orfana di una vitale, seppur incidentale, condivisione. E ora mi apposto negli angoli strategici. Li aspetto al varco. “Ehi! Che spavento! Cosa ci fai dietro la porta, mamma?!”. Niente…passavo”. “…”. “Ehm, non hai nulla da…”. “No”. Sarà dura recuperare il terreno perduto. Mi armerò di diabolica pazienza. E, mal che vada, mi parleranno per sfinimento.
Elasti – Donna di Repubblica – 11 giugno 2016 -

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