Da tempo la scienza cerca di svelare i
meccanismi della longevità, tentando di
capire quanto per essa contino Dna, dieta, abitudini di vita e semplice
fortuna. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Tecnologie biomediche del
Cnr e dell’Università di Bologna ha ora indagato su un altro versante: il ruolo
che può esercitare sulla durata della vita il micro bioma batterico che ci
portiamo nella pancia. “Il micro bioma intestinale svolge compiti essenziali
per la salute” dice Marco Severgnini, ingegnere biomedico dell’Itb-Cnr. “In
particolare, ci aiuta a digerire bene gl alimenti, per esempio producendo acidi
grassi a catena corta facilmente assimilabili,
ma anche tenendo alla larga i batteri patogeni e producendo vitamine e sostanze
antinfiammatorie. Oggi sappiamo che avere un micro bioma sbilanciato può
portare a disturbi, come l’obesità o l’eccessiva permeabilità intestinale, che
consente a tossine e microrganismi di entrare nel sangue, con danni alla salute”.
Essere accompagnati lungo la vita dai “batteri giusti” potrebbe quindi essere
il viatico indispensabile per superare i cento anni, Per capire se lo sia
davvero Severgnini e colleghi hanno esaminato il micro bioma di decine di
persone dai 20anni in su, fra le quali 24 di oltre 105 anni di età, tutte
provenienti dall’area bolognese, per avere un campione il più omogeneo
possibile per quanto riguarda dieta e ambiente, I risultati mostrano che anche
il micro bioma invecchia insieme a chi se lo porta dentro: mentre i giovani
hanno nel loro intestino soprattutto batteri “buoni”, come Ruminococcaceae e
Lachnospiraceae, più si invecchia e più compaiono nuove specie, fra cui alcune
che sarebbe meglio tenere alla larga, come gli Enterobatteri. “Questo è probabilmente
dovuto al fatto che se si vive a lungo i batteri da cui siamo circondati
riescono a poco a poco a farsi strada nel nostro organismo. Per esempio abbiamo
trovato nel micro bioma di anziani i batteri che normalmente si trovano sulle
gengive”. Diventano ultracentenari quelli che evitano questo declino? “Non
esattamente, anche il loro micro bioma appare invecchiato. Ma in loro si
riscontra anche una parallela proliferazione di specie che svolgono attività
antinfiammatoria e protettiva del rivestimento intestinale, come il
Bifidobacterium e l’Akkermansia, che probabilmente contrastano l’azione
negativa di altri batteri. Inoltre negli ultracentenari abbiamo scoperto la
presenza di Christensenellaceae, batteri che sembrano ridurre il rischio di
obesità. Da studi su gemelli si sa che
questi batteri si trovano soprattutto in persone dotate di certe
varianti genetiche. Potrebbe essere quindi che i geni dei centenari, oltre a
preservarne direttamente la salute, “attirino” i batteri giusti”. Ma allora si
potrebbe imitare il “microbioma di Matusalemme”, per esempio assumendo bevande che contengano
i microrganismi giusti? “Non ci conterei molto” dice Severgnini. “Si sa che il
microbioma è molto difficile da cambiare: persino dopo una cura di antibiotici
che lo alteri completamente, tende a ritornare come era prima”. Lo conferma una
recente ricerca compiuta dal
microbiologo Oluf Pedersen, dell’Università di Copenaghen, che ha riesaminato i
sette migliori studi fatti finora sull’efficacia delle bevande probiotiche,
quelle con i “batteri buoi”, concludendo che mentre sembrano essere utili per
chi ha certi disturbi intestinali, non c’è la prova che cambino il micro bioma
di persone sane. Per diventare centenari, quindi, meglio insistere su dieta
sana e attività fisica sperando poi di aver ereditato i geni (e i batteri)
giusti.
Alex Saragosa – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 10
giugno 2016 -
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