Cari ragazzi europei, siete nati in un
continente di pace, non avete mai visto la guerra sotto casa, siete cresciuti
senza frontiere, progettando di studiare in un altro Paese, innamorandovi
durante l’Erasmus, condividendo con gli amici le occasioni per trovare lavoro,
i sogni o più semplicemente i voli meno costosi per vedere un concerto. Non
importa se siete nati a Cardiff, a Napoli, a Marsiglia, a Barcellona o a
Berlino, oggi le paure stri nonni di molti dei vostri genitori e dei vostri
nonni hanno deciso che la Gran Bretagna tornasse ad essere un’isola, che voi
diventaste stranieri dall’altra parte della Manica. I vostri nonni, che sanno
cosa è stata la guerra, dovrebbero avere a cuore un futuro di libertà per voi,
ma insieme ai vostri genitori si stanno lasciando incantare da chi racconta che
rimettere muri, frontiere, filo spinato servirà a farci vivere più tranquilli,
sicuri e sereni. Che tornare ad avere ognuno la propria moneta riporterà
lavoro, prosperità e futuro. Ci stanno raccontando che la democrazia diretta e
i sondaggi in tempo reale risolvono magicamente i problemi, che esistono sempre
soluzioni semplici e a portata di mano, che non c’è più bisogno di esperti e
competenze, che la fatica e la pazienza non sono più valori, che smontare vale
più di costruire. Il continente è malato ma la febbre di oggi è la
semplificazione, l’idea che sia sufficiente distruggere la casa che ci sta
stratta per vivere tutti comodamente. Peccato che poi restino solo macerie.
Aprite gli occhi guardate lontano e pretendete un’eredità migliore dei debiti.
Vogliamo avere pace, speranza e libertà, non rabbia, urla e paure. Tappatevi le
orecchie, non ascoltate gli imbonitori e pretendete politici umili, persone che
provino a misurarsi con la complessità del mondo e siano muratori e non
picconatori. Segnatevi sul calendario la data di ieri, venerdì 24 giugno 2016,
e cominciate a comminare in un’altra direzione,
A seminare i colori e le speranze. Una ragazza inglese che ha votato sì,
ma non è riuscita a convincere suo padre e suo zio a fare lo stesso, ieri ha
promesso ai suoi amici europei, con una voce tremante che mescolava imbarazzo e
rabbia: “Verrà il turno della nostra generazione e allora torneremo”. Ci
contiamo.
Marco Calabresi – La Repubblica – 25 giugno 2016 -
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