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lunedì 20 giugno 2016

Lo Sapevate Che: Come salvare il suolo...



Il Futuro in Italia è disseminato di insidie perché la lucreziana “Mater Tellus” non ha risparmiato alla penisola e alle isole (massime la Sicilia) terremoti, alluvioni, impazzimento di fiumi. Sismologi, fisici, storici, antropologi, giuristi e urbanisti nei decenni hanno rivoltato come un guanto l’argomento. Il Regno d’Italia e la Repubblica non si sono distinti per capacità di prevenzione e hanno affrontato post-factum gli effetti dei disastri che a lungo sono stati considerati “naturali”. E dire che di ammonimenti è disseminata la storiografia italiana: a partire da Niccolò Macchiavelli a Carlo Cattaneo, per giungere nel secolo scorso a protagonisti della politica meridionalistica da Giustino Fortunato a Emilio Sereni, a Manlio Rossi-Doria. La sola cronologia  è spaventosa: alluvione del Polesine del 1951, disastri della Calabria e di Salerno (1953 e ’54), del Vajont (1963), della frana di Agrigento (1966), del Piemonte (1968), di Genova (1970), della Calabria (ancora 1973) e si può continuare in questo luttuoso elenco fino a ieri l’altro. Ho evocato disastri imprevedibili come sismi e prevedibili come l’esondazione dei fiumi o il disfacimento delle montagne, non tale fu il crollo del Vajont. Il Libro “Prevedibile / imprevedibile. Eventi estremi nel prossimo Futuro”, edito da Rubbettino, a cura di Emanuela Guidoboni con Francesco Mulargia e Vito Teti, affronta con ricchezza pluridisciplinare di competenze un tema chiave nella storia del Paese. Il volume guarda al passato, al presente ed è volto a indicare le linee auspicabili per una politica di prevenzione nel futuro. La prevenzione e la politica per la difesa del territorio è in Italia miserevole e sarebbe da stolti continuare a mettere la testa nella sabbia. La Guidoboni ricorda che negli ultimi 150 anni la periodicità dei disastri sismisi è stata di quattro o cinque anni, e le frane si contano in oltre 2.800, con un costo medio annuo che al valore attuale ammonta a oltre 5 miliardi e mezzo di euro. L’area di rischio interessa indifferentemente tutto il paese, con scarse differenze tra le diverse regioni. (..). Nel Terremoto del 1980 che invetì sIrpinia e Basilicata i morti furono oltre tremila:sul pessimo “Modello Irpinia” si sono scritti decine di libri, ci sono state centinaia di interpellanze parlamentari e di leggi, e non si contano i processi per le responsabilità del disfacimento di interi paesi e per la politica adottata per ricostruirli. (..). Nell’ordinamento italiano le diverse componenti del territorio sono disciplinate da provvedimenti e politiche che riguardano separatamente le diverse componenti dell’ecosistema. (..) La Pianificazione quotidiana per la messa in sicurezza del territorio nazionale richiede decenni di impegno e di spesa, ma grande sarebbe il profitto per considerare l’occupazione, mentre i soldi si bruciano per riparare ai danni sono solo uno spreco, lordo di sangue innocente. (..) La pianificazione del territorio e la gestione di emergenza restano ancora un auspicio, malgrado “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino (art. 52 della Costituzione): i padri costituenti non si riferivano solo ai confini del Paese da aggressioni esterne ma alla difesa dell’insieme del contesto che si chiama Italia. Difatti questi principi hanno la loro esplicita enunciazione nell’art.) della Carta: la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. Ciò nonostante bisogna considerare pannicelli caldi i provvedimenti per i disastri che continuano a devastare l’Italia e il governo Renzi ne dovrebbe avere coscienza e trarne le conseguenze.
Cesare de Seta – www.lespresso.it – L’Espresso – 16 giugno 2016 -

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