Il Futuro in Italia è disseminato di insidie perché la
lucreziana “Mater Tellus” non ha risparmiato alla penisola e alle isole
(massime la Sicilia) terremoti, alluvioni, impazzimento di fiumi. Sismologi,
fisici, storici, antropologi, giuristi e urbanisti nei decenni hanno rivoltato
come un guanto l’argomento. Il Regno d’Italia e la Repubblica non si sono
distinti per capacità di prevenzione e hanno affrontato post-factum gli effetti
dei disastri che a lungo sono stati considerati “naturali”. E dire che di
ammonimenti è disseminata la storiografia italiana: a partire da Niccolò
Macchiavelli a Carlo Cattaneo, per giungere nel secolo scorso a protagonisti
della politica meridionalistica da Giustino Fortunato a Emilio Sereni, a Manlio
Rossi-Doria. La sola cronologia è
spaventosa: alluvione del Polesine del 1951, disastri della Calabria e di
Salerno (1953 e ’54), del Vajont (1963), della frana di Agrigento (1966), del
Piemonte (1968), di Genova (1970), della Calabria (ancora 1973) e si può continuare
in questo luttuoso elenco fino a ieri l’altro. Ho evocato disastri
imprevedibili come sismi e prevedibili come l’esondazione dei fiumi o il
disfacimento delle montagne, non tale fu il crollo del Vajont. Il Libro “Prevedibile / imprevedibile. Eventi estremi nel prossimo Futuro”, edito da
Rubbettino, a cura di Emanuela Guidoboni con Francesco Mulargia e Vito Teti,
affronta con ricchezza pluridisciplinare di competenze un tema chiave nella
storia del Paese. Il volume guarda al passato, al presente ed è volto a
indicare le linee auspicabili per una politica di prevenzione nel futuro. La
prevenzione e la politica per la difesa del territorio è in Italia miserevole e
sarebbe da stolti continuare a mettere la testa nella sabbia. La Guidoboni
ricorda che negli ultimi 150 anni la periodicità dei disastri sismisi è stata
di quattro o cinque anni, e le frane si contano in oltre 2.800, con un costo
medio annuo che al valore attuale ammonta a oltre 5 miliardi e mezzo di euro.
L’area di rischio interessa indifferentemente tutto il paese, con scarse
differenze tra le diverse regioni. (..). Nel Terremoto del 1980 che invetì sIrpinia e Basilicata i
morti furono oltre tremila:sul pessimo “Modello Irpinia” si sono scritti decine
di libri, ci sono state centinaia di interpellanze parlamentari e di leggi, e
non si contano i processi per le responsabilità del disfacimento di interi
paesi e per la politica adottata per ricostruirli. (..). Nell’ordinamento
italiano le diverse componenti del territorio sono disciplinate da provvedimenti
e politiche che riguardano separatamente le diverse componenti dell’ecosistema.
(..) La Pianificazione quotidiana per la messa in sicurezza del territorio
nazionale richiede decenni di impegno e di spesa, ma grande sarebbe il profitto
per considerare l’occupazione, mentre i soldi si bruciano per riparare ai danni
sono solo uno spreco, lordo di sangue innocente. (..) La pianificazione del
territorio e la gestione di emergenza restano ancora un auspicio, malgrado “La
difesa della patria è sacro dovere del cittadino (art. 52 della Costituzione):
i padri costituenti non si riferivano solo ai confini del Paese da aggressioni
esterne ma alla difesa dell’insieme del contesto che si chiama Italia. Difatti
questi principi hanno la loro esplicita enunciazione nell’art.) della Carta: la
Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della
nazione”. Ciò nonostante bisogna considerare pannicelli caldi i provvedimenti
per i disastri che continuano a devastare l’Italia e il governo Renzi ne dovrebbe
avere coscienza e trarne le conseguenze.
Cesare de Seta – www.lespresso.it
– L’Espresso – 16 giugno 2016 -
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