Se Non Me L’Avessero detto avrei pensato a un giocatore un
po’ strano ma molto forte, di certo una persona reale”. A parlare è Fan Hui, il
primo campione internazionale di Go messo k.o. da un programma. Una disfatta
rivelatrice, forse addirittura profetica. Questo antico gioco da tavola,
descritto da Confucio e ritenuto una delle quattro arti essenziali per il
gentiluomo cinese, ha una possibilità di disposizione delle pedine superiore al
numero degli atomi dell’universo. Lui, il software, si chiama AlphaGo. In un
ufficio londinese ha battuto Fan cinque partite a zero. Lo ha fatto grazie al
metodo del “deep learning”, combinando alberi di ricerca con reti artificiali
che simulano i nostri neuroni e si rafforzano con l’esempio e l’esperienza,
proprio come accade nel cervello umano. “E’ una svolta epocale e sorprendente
che apre nuove frontiere”, spiega a “l’Espresso” Yoshua Bengio, professore
dell’Università di Montreal, uno dei riferimenti mondiali per l’apprendimento
profondo che ha risvegliato l’Intelligenza artificiale (IA) da un letargo
ventennale. Ma dove stiamo andando? E chi stabilisce la rotta? Per rispondere a
queste domande bisogna tornare a Londra, dove ha sede Deep Mind, la startup
acquisita da Google che ha creato il software AlphaGo. Fondata nel 2010 da
Demis Hassabis, un neuro scienziato che a cinque anni giocava i campionati
inglesi di scacchi, non ha più di 150 dipendenti. Sin dall’inizio ha puntato
sugli algoritmi “genral-purpose”, in grado cioè di incamerare enormi quantità
di dati, maturare esperienze e riutilizzarle in diversi ambiti e per più
compiti. Il primo banco di prova di DeepMind sono stati i giochi. E proprio le
vittorie sui campioni umani di Space Invaders e degli altri classici del gaming
della Atari hanno spinto prima Facebook e poi Google a farsi avanti. Per averla
nel 2014 il colosso di Mountains View ha sborsato 400 milioni di dollari. “E si
capisce perché”, dice Bengio: “Gli esperti di “deep leaarning” sono in tutto
una cinquantina e almeno dieci già lavorano per DeepMind”. Gli altri si
dividono tra università e colossi del Web. Da Amason a Microsoft, tutti pazzi
dei giochi ma pronti a guardare oltre. (..). E, come suggerisce la “Technology
Review” del Mit, aiutare gli umanoidi a capire il nostro mondo potrebbe essere
una delle applicazioni pù importanti dell’Intelligenza artificiale. Ma ce ne
sono molte altre. Dalle previsioni finanziarie al riconoscimento di immagini e
video . Dalla capacità di determinare l’importanza di un’informazione,
realizzando contenuti ad hoc e targeting pubblicitari efficaci, alla
comprensione dei linguaggi naturali. Una delle chiavi, spiega Bengio, si chiama
“unsupervised learning”, apprendimento non supervisionato: “E’ quello dei
bambini, che osservano il mondo imparando a vedere e a comprendere senza che
nessuno gli dica ogni momento cosa fare e come interpretare le immagini davanti
ai loro occhi”. Alle possibilità potrebbero però accompagnarsi problemi. Uno
dei nodi è la gestione privata di risorse fondamentali per l’umanità. “
Vogliamo applicare le nostre tecniche ai problemi più gravi e pressanti del
mondo reale, si tratti di modelli climatici o di analisi di malattie
complesse”, ha detto Hassabis dopo il trionfo di AlphaGo. Ipotizzando anche un
comitato etico, taggato Google.
Vincenzo Giardina – Deep Learning – L’Espresso 9 giugno 2016
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