Certe Parole t’entrano in testa senza chiedere
permesso. Populismo, che vorrà mai dire? Vattelapesca, non lo sa nessuno.
Eppure questa parola ci buca i timpani ogni giorno, in Italia così come in
Europa, così come negli Usa. Senza un significato univoco, però sempre con una
connotazione spregiativa, come un epiteto, un insulto. E infatti nessun
politico si dichiara populista; sono gli
altri ad affibbiargli l’etichetta. Sicchè è populista Donald Trump non meno di
Marine Le Pen, sono populisti i partiti al governo in Ungheria e in Slovacchia, in Polonia e in Grecia.
Mentre in Italia la stessa accusa rimbalza da Berlusconi a Renzi, da Grillo a
Salvini. Non Che Si Tratti d’un inedito. Il populismo è una categoria della
politica, fin dal 1894, quando negli Stati Uniti il People’s Party prometteva
una vita più felice per ogni cittadino. Ne furono celebri esponenti George
Wallace non meno di Ross Perot, e poi Nasser, Peròn, e molti altri leader del
Terzo mondo. Alle nostre latitudini il populismo s’incarnò, per una breve
stagione, nell’ “Uomo qualunque” di Guglielmo Giannini, e successivamente in
personaggi come Achille Lauro. Però in questo torno d’anni il populismo cresce
a macchia d’olio, conquista quotidiana nuovi sacerdoti.(..). Ecco, La Paura.
E’ la benzina che alimenta i populismi, e quel carburante sgorga da una crisi
economica, poi morale, poi politica. Paura degli immigrati, paura del terrorismo
che incrudelisce nelle nostre città. Ma al contempo paura di venire ricacciati
indietro, nella plebaglia da cui s’era emancipato il ceto medio. Dalla paura
cova poi la rabbia vero i nuovi ricchi, verso chi ha troppo quando a tutti gli
altri resta troppo poco. E la disuguaglianza attizza infine la protesa nei confronti delle classi
dirigenti. Ingiustizia, miseria, terrorismo: tutta colpa loro, e soprattutto
colpa dei politici, delle loro unghie rapaci. Da qui l’antipolitica, da qui
l’istinto di affidarsi a un Capo, lui sì, megafono fedele dei nostri umori
collettivi. Con un rapporto verticale, che spazza via ogni corpo intermedio,
ogni altra istituzione. Sicchè il fallimento dei vecchi governanti diventa il
fallimento d’un modello di governo, e infine della democrazia medesima, per
come l’abbiamo praticata dall’ottocento in poi. Un sistema lento, complicato,
appesantito da estenuanti mediazioni; meglio sostituirlo con un plebiscito
permanente, in cui ciascuno ha l’illusione di parlare attraverso la parola del
suo leader. E’ esattamente questo il brodo di coltura dei nuovi populismi: la
crisi epocale della democrazia rappresentativa, in Italia come altrove. Tuttavia Non Basterà un esorcismo per sbarazzarci dei nuovi Pilato. Il populismo riflette l’esprit du temps, e infatti hanno
tratti populisti tutti i leader politici, non solo i più estremisti. D’altronde
non c’è scampo: o sei populista o diventi impopolare. Per salvare le
istituzioni democratiche, l’unica via è rubare munizioni all’esercito nemico,
innervandole con una cura semplificatrice, coniugandole agli strumenti di
democrazia diretta. Come diceva Casanova, a volte da un male può nascere il
bene.
Michele Ainis – Legge e libertà www.lespresso.it michele.ainis@uniroma3.it – 7 aprile
2016
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