La Storia ti passa sotto il nasce e neanche te
ne accordi. Spesso sono soltanto brandelli di storia che non sai ricucire.
Rivolgo spesso un pensiero a Fabrizio a Waterloo: quando, come l’adolescente
stendhalliano (che guarda la vivandiera, l’ussaro che gli ruba il cavallo e,
l’imperatore che sfreccia lontano, al galoppo, e non sa di assistere a una
svolta della storia) sono abbagliato dai dettagli e non afferro la giusta
importanza di un avvenimento. In questo il reporter non ha età. La sua arma, la
curiosità, si accompagna a un’ingenuità che resiste al tempo. Non invecchia,
inesorabilmente, a differenza del corpo. E’ll Preambolo a un episodio del 1965. Il
protagonista, ucciso quarantanove anni fa, merita il ricordo. Sopravvivere
nelle memorie, in bilico tra il mito e la storia. Venerato o dissacrato.
Trovare il Che sull’aereo in volo tra Nairobi e Dares-Salam fu più che una
sorpresa. Pensai di essere in preda a un’allucinazione. Era seduto alle mie
spalle, col basco e la tuta verde oliva, e leggeva “I dannati della Terra” di
Franz Fanon, bibbia del terzo-mondismo. Forse era lo scherzo di un imitatore.
Mi sfiorò anche questo dubbio. Ma era il vero Ernesto “Che” Guevara. Lo
ritrovai, e ne constatai l’autenticità, poche ore dopo nel parco dove Julius
Nyerere, presidente della Tanzana, dava un grande ricevimento. Il Che si teneva
in disparte e fu ben contento quando lo invitai a sedersi sui gradini di una
scalinata, lontana dalla calca degli invitati. L’avevo abbordato ricordandogli
un incontro, nell’aprile del ’61, all’Avana, nel suo ufficio di ministro
dell’Industria, dopo lo sbarco dei controrivoluzionari nella Naia dei Porci. La
remota intervista non gli era rimasta nella memoria. Ma non lo disse. Non disse
nulla. Ascoltava e non rispondeva alle domande. Neppure a quelle sul motivo
della sua presenza in Tanzania. Guardava la cima degli alberi tropicali e la
punta del meraviglioso sigaro appena acceso. La Conversazione cominciò proprio
grazie a quel sigaro. Mi spiegò la differenza tra un Romeo y Julieta, un
Montecristo e un Cohiba. Ma poi il discorso dai sigari cubani slittò, non so
perché, sulle donne. Il suo interesse per le donne si limitava, almeno quella
sera, al loro carattere. E come per i Romeo y Julieta, i Montecristo e i
Cohiba, distingueva anglo-sassoni, latine e africane. Era bizzarro
quell’argomentare su sigari e donne. Ma il già leggendario guerrigliero, con
quella conversazione più da vitellone che da rivoluzionario, evitava di
rispondere alle mie insistenti domande sulla sua strana presenza in
Tanzania.(..). le sue ammiratrici erano interessate alla sua persona e non a
quel che diceva sulla rivoluzione e le iniziative industriali.(..). Il Giorno Dopo
il presidente Nyerere mi dette un permesso speciale per visitare Zanzibar.
L’isola era proibita agli stranieri in seguito ai sanguinosi scontri tra arabi
e neri africani. Non c’era un turista. E nel solo ristorante aperto ritrovai il
Che, Era circondato da una ventina di militari cubani. Scattai una fotografia e
lui mi chiese se stavo inseguendola perché ero della Cia. Mi dirò le spalle,
senza , senza pronunciare una parola di più. Si allontanò chiudendomi una porta
in faccia. Seppi poi che veniva dalla Cina maoista. Lui la preferiva all’Unione
Sovietica protettrice di Cuba. E in quei giorni stava per raggiungere la
guerriglia lumumbista di Pierre Mulele nel Congo. In Cina non aveva trovato
l’aiuto che cercava e fu deluso dell’esperienza congolese. Quei due fallimenti
l’avrebbero portato in Bolivia dove i soldati del dittatore Barrientos,
consigliati da veri agenti della Cia, lo avrebbero ucciso due anni dopo.
Bernardo Valli – Dentro e fuori www.lespresso.it – L’Espresso – 31 marzo
2016 -
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