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martedì 12 aprile 2016

Lo Sapevate Che: Ma come s'assomigliano Massimo e Matteo!...



A Prima Vista diresti: il giorno e la notte, E però in fondo, Renzi e D’Alema si assomigliano. Molto. Se non altro perché l’uno sta cercando di fare esattamente ciò che l’altro avrebbe voluto, ma che non gli hanno lasciato fare. Con la stessa determinazione con cui il secondo sta ora cercando di fermare il primo. Proprio così. Dunque non capisci perché oggi il Padre (politico) rinneghi il Figlio, fino a minacciare epocali scissioni. “Un difetto ottico dovuto a malumore, a ragioni di risentimento personale”, azzarda al “Foglio” l’amico Andrea Peruzy, ex amministratore e fund raiser di Italiani-Europei, il think-tank di D’Alema. Chissà. Certo, diversi sono i lombi e gli esordi: il papà di Massimo, Giuseppe, era stato partigiano gappista; il papà di Matteo, Tiziano, ha esordito come consigliere comunale Dc a Rignano sull’Arno. Massimo indossò la divisa di Pioniere del Pci e – lider minimo – prese la parola dinanzi a Togliatti ( “Ma questo è un nano”, avrebbe esclamato il Migliore, colpito dall’eloquio);  Matteo invece vestirà da scout. Poi se l’uno vinceva il concorso per entrare alla Normale di Pisa, l’altro trionfava alla “Ruota della Fortuna”; e quando D’Alema, unico comunista della storia, conquistava Palazzo Chigi, Renzi si laureava con una tesi su La Pira. Di qua, di là. Invece…. Invece le somiglianze politiche tra i due sono strabilianti. Ripassare per credere. Il Rottamatore che ha fatto fuori i titolari della Ditta e sfrattato con un tweet Enrico Letta certo non ignora la ferocia con la quale D’Alema tramò contro Natta e Occhetto sulla via della segreteria del post Pci. Unica differenza, non lo fece da solo, ma a nome di una generazione di quarantenni stanchi di obbedire a “quelli che avevano trent’anni nel ‘56” (copyright Claudio Petruccioli). Innovatore si dice l’uno, modernizzatore – del Paese, della sinistra – si definiva l’altro. D’Alema esordì da leader del Pds con un attacco a testa bassa alla Cgil di Cofferati, il sindacato “più chiuso e più sordo all’esigenza di una riflessione critica”, ma fu presto costretto a rinculare: eccolo poche settimane dopo sfilare assieme a Cofferati contro il governo Prodi di cui era azionista di maggioranza. Cercò di rimediare da premier firmando una lettera sulla riforma del mercato del lavoro assieme a Tony Blair, ma poco dopo si dimise, e poi Berlusconi cinse le elezioni. Addio sogni riformisti. Renzi, invece, ha cancellato l’articolo 18 e imposto il Jobs Act senza nemmeno trattare con la Cgil ( “La gente è dalla nostra parte, non da quella dei sindacati”). Altra stagione, stessa linea di marcia. (..)Ancora. A Palazzo Chigi D’Alema si circondò di quattro fedelissimi dal cranio lucido, i Lothar: Velardi, Rondolino, La Torre, Minniti; e Renzi decide tutto con il suo cerchio magico: Boschi, Lotti, Sensi. Massimo si rifece il guardaroba affidandosi al maestro della sartoria napoletana Antonio Panìco; Matteo ha scelto Ermanno Scervino, stilista “à la page” con maison a Bagno a Ripoli, provincia di Firenze. E se D’Alema inciampò sulla casa di un ente pubblico a equo canone, Renzi godeva di un appartamento nel centro di Firenze pagato dal fido Marco Carrai…Si potrebbe continuare. Per esempio con l’arroganza di cui D’Alema accusa Renzi. Ma su questo, forse è meglio che si esprima il lettore, diciamo.
Bruno Manfellotto – Questa settimana www.lespresso.it - @bmanfellotto – 7 aprile 2016

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