Dengue, H5N1 (influenza aviaria),
Sars, Chicungunya, Ebola, H1N1 (suina), Mers e ora Zika. Le cronache mondiali
si riempiono sempre più spesso di nomi e sigle dietro ai quali si nascondono
virus patogeni minacciosi. L’ultimo arrivato è un virus di origine africana di
cui da qualche settimana seguiamo gli spostamenti fra America Latina ed Europa:
relativamente innocuo per gli adulti, se infetta le donne in gravidanza nelle
prime settimane è in grado di provocare microcefalia nel feto, una grave
malformazione che porta a disabilità o morte. Nel Nordest brasiliano Zika
avrebbe fatto ammalare un milione circa di persone e causato 3.582 casi di
microcefalia, contro i 167 del 2014. “Da qualche anno assistiamo a
un’accelerazione nella diffusione di arbovirus, virus trasmessi da insetti come
le zanzare” dice Gianna Rezza, virologo dell’Istituto superiore di sanità,
“Zika è il quarto virus africano che arriva in Sudamerica. Il primo fu la
dengue, diffusasi fino negli Usa, poi, nel 2013, l’analogo Chikungunya, e oggi
Zika. Alla base c’è il movimento di massa di persone, la presenza ormai globale
di zanzare di genere Aedes, favorita dal cambiamento climatico, e la scarsa
resistenza immunitaria dei sudamericani, che non erano mai stati esposti a
questi patogeni”. Caso diverso è quello di malattie virali emorragiche, come
Ebola: “ Si tratta di zoonosi, cioè virus di animali selvatici che passano
nell’uomo” spiega Antonio Mastino, microbiologo dell’Istituto di farmacologia
transazionale del Cnr. “Vista la rapidità con cui rendono il malato incapace di
muoversi, un tempo restavano confinate nei villaggi. Il trasporto dei malati
nelle città ha moltiplicatole possibilità di diffusione”. “Dovessi però dire di
cosa dovremmo preoccuparci di più, non indicherei né gli arbovirus, né le
zoonosi” avverte Rezza. “ Le prime possono diffondersi tramite la zanzara
tigre, ma l’inverno ne stronca comunque il ciclo. Virus tipo Ebola, invece,
possono essere contenuti se si segue la regola di non toccare i malati senza
protezioni. Il vero cruccio sono i virus che si diffondono con il
respiro”. La Sars e la Mers, per
esempio, sono coronavirus asiatici, spesso mortali, che si sono spostati in
pochi giorni a migliaia di chilometri di distanza grazie ai viaggi aerei. “Però
i coronavirus raggiungono il picco del contagio sette giorni dopo l’apparizione
dei sintomi, quando il paziente in genere è già in ospedale. Più pericolosi
sono i virus influenzali, contagiosi fin da prima che una persona si metta a
letto, e infatti c’è grande attività di sorveglianza globale sull’emersione di
ceppi influenzali, di cui oggi possiamo ricostruire il genoma in pochi giorni.
Alex Saragosa – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 5
febbraio 2016 -
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