Personal economist
di Andrea di Stefano
“la sfida è come tenere assieme la cultura dei diritti del 900 con quella dei beni comuni del Nuovo Secolo”, Aldo Bonomi, sociologo
Nell’era della Grande Crisi non c’è solo un problema di risorse. Il nodo del welfare state non può essere ridotto al problema della copertura delle esigenze dei cittadini per i servizi assistenziali, sanitari e educativi. Come sottolinea il ricercatore dell’Università Cattolica Mauro Magatti, “nella rincorsa tra cultura domandi sta, che moltiplica le istanze di protezione, e gigantismo statuale, con apparati sempre più affannati al punto da favorire la privatizzazione come via per aumentare l’efficienza, il patto tra individui e comunità politica si è dissolto”. Bisogna recuperare le motivazioni, forse l’anima stessa di uno Stato sociale che non capace di rispondere alle domande (non solo di naturale assistenziale) che emergono dalle comunità. Non a caso si sta riscoprendo il mutualismo: storicamente è stato il frutto di esperienze dal basso (società di mutuo soccorso, cooperative di consumo, educazione municipale) che hanno permesso la crescita della coesione sociale e, di pari passo, anche delle condizioni economiche delle comunità. Città come Torino e Milano non sarebbero diventate un modello si successo economico senza iniziative di coesione sociale dal basso, che permisero di superare la diffusa povertà della seconda meta dell’800: La sfida di realtà innovative come Welfare Italia, impresa sociale promossa dal consorzio CGM con Intesa Sanpaolo e Banco Popolare, è quella di declinare un mutualismo solidale, non corporativo, che parta dal territorio immaginando forme di assistenza a livello locale. L’obbiettivo è superare quella che Gianantonio Ferrarotti ha definito “badantato”: ovvero quel fenomeno perverso, quasi un automatismo che correla a ogni singola famiglia, divenuta impresa, una badante.
Donna di Repubblica – 24-03-12
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