Con lo spiedino di coccodrillo e la tartara di zebù la cucina si trasferisce allo zoo.
L’esotismo spinto sembra essere l’ultima frontiera della ristorazione globish, sempre alla ricerca di nuove esperienze sensoriali. Spesso da brivido, e non necessariamente di piacere. Così il fassone lascia il posto al pitone, il pollo ruspante al leone rampante, il coniglio in padella al canguro in pastella. I menù dei ristoranti più trendy del Pianeta assomigliano ormai a un manuale di zoologia fantastica degno dell’immaginazione surrealista di Jorge Luis Borges.
Come se il cibo fosse ormai l’ultimo rifugio della differenza in un mondo sempre più omologato, livellato, appiattito sugli usi, costumi e consumi dell’Occidente.
Viviamo in un Pianeta sempre più stretto e comunicante, dove il turismo di massa ha violato anche l’inviolabile. Forse proprio per questo siamo alla ricerca di nuovi mondi da esplorare. E per farlo usiamo la forchetta come bussola e le guide gastronomiche come mappe per scoprire cosa bolle nella pentola degli altri. Più un piatto è lontano dai nostri più ci sembra che valga un viaggio. Ancorché immaginario.
E’ la versione culinaria della spedizione antropologica, la scoperta dell’altro che diventa safari gastronomico alla Anthony Bourdain. Basta un flan di tartaruga, un chutney di iguana, una tempura di alligatore. E, invece di buon appetito, dire banzai!
Marino Niola – Venerdì di Repubblica 06- 04-12
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