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giovedì 20 febbraio 2014

Lo Sapevate Che: A Letto Con Il Nemico...


L’insonnia rovina il riposo di 12 milioni di italiani ed è in crescita in tutto il mondo.
Ecco le novità dell’arsenale chimico per combatterla.
E le avvertenze dei medici ed enti di controllo dei farmaci: spesso la psicoterapia fa più di una pillola

Succede di notte: a riposo, e in assenza di luce naturale, si modificano tutti i parametri vitali e le cellule del corpo si rigenerano. Intanto il cervello memorizza e “dimentica in maniera intelligente”, come sintetizzano diversi studi recenti, in particolare quello della University of Wisconsin School of Medicine. In pratica, fa piazza pulita delle informazioni superflue per ricominciare il giorno dopo, frescoe “resettato” correttamente.
Accade fisiologicamente, in modo spontaneo. Ma non in tutti. Non nelle file di quell’esercito di persone (12 milioni solo nel nostro Paese secondo l’Associazione Italiana Medicina del Sonno) che nel mondo soffrono di forme di insonnia. Per loro, addormentarsi o mantenere un sonno continuo e ristoratore tutte le notti è una conquista, raggiunta spesso con l’ausilio di ipnotici (farmaci che agiscono selettivamente sui recettori del sonno) o di benzodiazepine (attive su diversi neurotrasmettitori coinvolti nell’ansia e nell’insonnia). Un gruppo di principi attivi al quale potrebbe presto aggregarsi una nuovissima classe di farmaci a base di suvorexant, alle cui vicissitudini il New Yorher ha recentemente dedicato un ampio articolo. “Si tratta di una molecola con meccanismo d’azione completamente diversi rispetto a ipnotici e sedativi. Agisce sull’orexina, un neuro peptiche prodotto dall’ipotalamo, la cui cronaca carenza provoca la narcolessia, una malattia caratterizzata da un’eccessiva sonnolenza. Il suvorexant  blocca temporaneamente l’azione dell’orexina, facilitando il sonno” spiega Lino Nobili, responsabile del Centro di Medicina del Sonno dell’Ospedale Niguarda di Milano. L’Azienda che ha sintetizzato il farmaco sperava nella sua registrazione negli States entro il 2013, forte dei trial clinici eseguiti, che ne dimostrano i vantaggi: ci si addormenta circa mezz’ora prima e si dorme un’ora in più. Ma l’Fda, l’ente di controllo dei farmaci americano, non convinto, ha puntato il dito contro gli effetti collaterali evidenziati, specialmente ai dosaggi più elevati: alta incidenza di sonnolenza diurna e di pensieri suicidi. E ha rinviato il via libera chiedendo all’azienda farmaceutica di diminuire la concentrazione di principio attivo e presentare nuovi studi, che non segnalino più tali (seri) punti deboli.
Intanto c’è già chi ha puntato sulla induzione al sonno più veloce immettendo sul mercato (da mesi anche in Italia) una versione in compresse sublinguali di un ipnotico ampiamente utilizzato: lo zolpidem. “Rispetto alla formulazione classica, questa forma abbrevierebbe i tempi dell’addormentamento di circa 8-10 minuti. Non molto, tuttavia un arco significativo per chi soffre d’insonnia, soprttutto dal punto di vista psicologico”, osserva Nobili.
Già, perché il fattore psiche gioca un ruolo fondamentale nei disturbi del sonno. “E’ noto che comuni disagi psicologici contingenti, come lo stress, possono momentaneamente peggiorare la qualità del sonno. Le preoccupazioni per la perdita del suo controllo, insieme alla paura delle conseguenze del non dormire bene, alimentano invece un circolo vizioso che contribuisce a cronicizzare l’insonnia”, spiega Alessandra Devoto, psicologa accreditata dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno e docente a contratto dell’Università Sapienza di Roma. Senza dimenticare che esiste una correlazione tra l’insonnia e i disturbi affettivi (come la depressione maggiore e i disturbi bipolari) e quelli d’ansia. “Spesso si tratta di problemi concomitanti, che non hanno un chiaro rapporto causa-effetto. Ma, come evidenziato da alcuni studi, chi soffre di disturbi del sonno ha una probabilità 4 volte maggiore di sviluppare la depressione e il doppio di avere problemi d’ansia. Per questo, l’insonnia cronica può essere considerata anche un fattore di rischio per lo sviluppo di potenziali problemi psicologici”, osserva Devoto. Non a caso, le benzodiazepine sono prescritte sia per curare l’insonnia sia i disturbi d’ansia.
“Negli ultimi tempi, anche un farmaco utilizzato per la depressione stagionale, l’agomelatina, si è rivelato utile per certe forme d’insonnia, in particolare quelle caratterizzate da risvegli precoci, verso le 3,4 del mattino” osserva Nobili.
L’agomelatina è una molecola che agisce legandosi ai recettori cerebrali della melatonina, l’ormone secreto dall’organismo a partire dalle 10 di sera, in assenza di lluce, e che regola i ritmi sonno sveglia. In pratica, ne rinforza l’azione. Ma anche come molecola attiva, la melatonina sta conquistando un’attenzione sempre maggiore, sia perché, in alcuni soggetti migliora la qualità del sonno, sia perché, più in generale, lo regola. E non è più solo un rimedio proposto per contrastare la sindrome da jet-lag, ma anche per chi non riesce a mantenere ritmi sonno-sveglia regolari (giovani che fanno abitualmente le ore piccole; lavoro notturno; età avanzata). La novità: presto la melatonina non sarà più disponibile come prodotto da banco per dosaggi superiori a 1 mg, ma solo come farmaco, previa presentazione di rivetta. E non è una cattiva notizia: “Può così contare su una maggiore sicurezza ed efficacia, perché sottoposta a un iter di sperimentazione di un farmaco, osserva Nobili.
Nonostante il paniere di molecole a disposizione, già relativamente “ricco”, è errato credere che i medicinali siano la soluzione a tutti i mali d’insonnia. “Mentre i farmaci sono generalmente indicati quelle di breve durata (qualche settimana), il trattamento psicologico è d’elezione per le insonnie croniche, che durano almeno da qualche mese. Tuttavia, i due approcci non sono necessariamente alternativi, ma possono integrarsi e lavorare in sinergia secondo le necessità”, spiega Devoto. Ma come funziona, in sostanza, la terapia psicologica per l’insonnia? Si parte  dalla fase di valutazione, con colloqui, test psicologici specifici e monitoraggio del sonno con strumenti di valutazione, come l’actigrafo (un semplice orologio da indossare al polso, che rileva vari parametri del ciclo sonno-veglia e l’attività motoria durante la notte). Fatta la diagnosi, si passa al cuore del trattamento, che è breve (da tre a 10-20 sedute di tipo cognitivo-comportamentale) e integra varie tecniche per rafforzare il sonno (“controllo degli stimoli”, metodi di rilassamento, regole di “igiene del sonno”), nonché alcune strategie che correggono atteggiamenti e idee errate. “Per esempio ritenere che servano almeno 8 ore di sonno per star bene a qualsiasi età”, avverte Devoto. “E’ una falsa credenza, che può indurre a trascorrere a letto più tempo del necessario, coricarsi prima di sera e cercare di fare sonnellini diurni di recupero. Accorgimenti che peggiorano ulteriormente la qualità del sonno, fino a rendere sempre più difficile risolvere il problema in autonomia”.
Morale: dopo le prime notti insonni, meglio non temporeggiare e chiedere l’aiuto di uno specialista per correggere le cattive abitudini ed evitare che l’insonnia diventi una compagna di vita. E iniziare subito a seguire semplici regole di “igiene del sonno”: mantenere le abitudini e seguire i rituali che ci fanno sentire bene e più rilassati prima di coricarsi. Meglio evitare di fissare luci artificiali dopo le 21-22 (soprattutto iPad e cellulare) perché interferiscono con la sintesi della melatonina (che dà il via all’addormentamento), come ribadito da un recente studio pubblicato su Organizational Behavior and Human Decision Processes. Attenzione anche a porsi nelle condizioni ambientali ai 18 gradi: “Temperature più alte tendono a diminuire le fasi di sonno lento e profondo, mentre quelle molto più basse possono rendere difficoltoso addormentarsi”, conclude Nobili.

Claudia Bortolato – Donna di Repubblica – 15 febbraio 2014

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