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sabato 15 febbraio 2020

Lo Sapevate Che: Effetto serra Nel sushi la svolta contro l'invasione dei ricci di mare


Attenti ai ricci. E no, non solo d'estate, quando si cammina sugli scogli. Soprattutto dove sembra siano diventati troppi. Il quotidiano britannico The Guardian stima che tra il 2014 e il 2016 i ricci di mare viola (Strongylocentrotus purpuratus) abbiano contribuito a distruggere oltre il 90% delle foreste di alghe in California. Alghe - di cui si nutrono - che, nella lotta agli effetti del cambiamento climatico, hanno il prezioso compito di assorbire la CO2 impedendone il rilascio nell’atmosfera. Senza considerare il ruolo di tutela della biodiversità degli ecosistemi marini: nelle alghe, infatti, vivono e si riproducono molte specie animali.

Il riccio di mare viola, che vive fino a 70 anni, può crescere fino a 10 centimetri di diametro e la sua sovrappopolazione può arrivare a soffocare le foreste di alghe kelp giganti (Macrocystis pyrifera) lungo le zone costiere oceaniche temperate e polari, portando a fondali poveri di vegetazione. Questa invasione di echinodermi non riguarda solo l'America, anche se, in Italia, la situazione è ben diversa.

Dal Mare del Nord alla Tasmania i fondali pagano il declino dei predatori ghiotti di ricci di mare causato dal riscaldamento globale e dalla pesca intensiva, venendo così a mancare il naturale ciclo della catena alimentare che assicura un equilibrio dell'habitat.

Ma qualcosa per cercare di invertire questo fenomeno e ristabilire l'equilibrio sembra si possa fare, e la soluzione passa da due bacchette e del riso. L'azienda Urchinomics sta tentando di trasformare i ricci in sovrannumero, divenuti distruttivi dal punto di vista ecologico, in prodotti ittici di alto valore, così da riprinstinare l'ecosistema originario.
L’impresa ha l'ambizione di creare degli 'allevamenti' di ricci di mare le cui uova - considerate molto pregiate dalla cucina nipponica - finiscano nei ristoranti di sushi di tutto il mondo. Questo avviene solo nella misura in cui lo sfruttamento non arrivi a depauperare le risorse ittiche, a scapito delle comunità locali. "Coinvolgiamo pescatori, biologi e scienziati per identificare e rimuovere i ricci che anche se vuoti - spiega l'azienda - impediscono il recupero delle foreste di alghe. Una volta prelevati, la natura prende il sopravvento e le alghe ricominciano a crescere".
Anche se non si può pensare di risolvere l'intero problema affidandosi alla cucina, la società ha annunciato di aver avuto l'autorizzazione per aprire il primo impianto in Norvegia, dove si stima che 80 miliardi di ricci abbiano devastato le foreste di alghe lungo le coste. La Urchinomics si occuperà di estrarre dai fondali i ricci per portarli negli allevamenti. Lì verranno alimentati con mangimi naturali e poi venduti.
Cecilia Greco – La Repubblica – 14 febbraio 2020 -

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