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martedì 3 gennaio 2017

Lo Sapevate Che: Perchè la malinconia avvolge l'Europa...



Nel Prossimo Novembre Jean Starobinski avrà novantasette anni. Nella sua ricca vita, oltre che critico (ermeneuta) letterario è stato psichiatra e storico della medicina. Ha coniugato esperienze e saperi come un intellettuale del Rinascimento. E continua nel raro esercizio poiché “L’inchiostro della malinconia” è comparso soltanto un paio d’anni fa nelle librerie italiane, pubblicato da Einaudi, e due anni prima in quelle di Ginevra, la sua città. Al centro del raffinato volume  c’è la malinconia, elemento che caratterizza spesso, in modo specifico, da secoli, le nostre culture: dalla mitologia alla filosofia, alla morale, all’estetica, alla psicanalisi, alla poesa, alla narrativa. La passione e la simpatia per Baudelaire hanno condotto Strarobiski ad associare il poeta alla malinconia. Non ne ha fatto un caso clinico ideaòe. Non ha definito il poeta dello spleen un malinconico, l’ha descritto come un ammirevole mimo, con quella che si chiama la sua “isteria”, degli atteggiamenti e dei meccanismi profondi della malinconia. Baudelaire me esprime la sofferenza e la riflessività in una forma inedita, si potrebbe dire gloriosa. In lui si riassumono la concezione antica dell’atrabile, la bile nera, nera come l’inchiostro e l’inferno, e la declinazione contemporanea dei sintomi della  malinconia. Anche di questo si parla nell’Antologia (“ La Beauté du monde”) dedicata a Starobinski, in cui sono raccolti scritti dal 1946 al 2010, curata da Martin Ruelf, appena pubblicata da Gallimard. Nel Saggio “Malinconia di sinistra”, pubblicato da Feltrinelli, lo storico Enzo Traverso usa la stessa espressione ma riferendosi a un elemento che sembra di altra natura. Dalla malinconia individuale, intima, si passa alla malinconia collettiva. In Traverso siamo lontani dallo sguardo malinconico, immobile, nella Parigi che si trasforma, di cui parla Baudelaire nelle “Fleurs du mal”. Nella sinistra la malinconia è una tradizione (nascosta), in cui è annidato il dubbio dell’intelligenza, ed anche l’invincibile, dinamica convinzione che le macerie delle battaglie perdute siano il cuore da cui nascono nuove idee e nuovi progetti. La Malinconia affligge la nostra Europa. L’avvolge come un velo. Per questo le dedico la cronaca di inizio d’anno. E’ una malinconia collettiva, simile dunque a quella descritta dallo storco italiano, ma la sua natura è intima e ricorda quella raccontata nella monumentale opera del critico e psichiatra ginevrino. In apparenza non c’è proprio nulla di dinamico nella malinconia europea, dovuta alla frustrante, spesso inconscia idea del declino. Un’idea che può essere legata alla figura allegorica del pozzo, dove precipita il malinconico, usata da Starobinski. Il pozzo non è  tuttavia soltanto la profondità quindi la tenebra, è anche dove zampillano le sorgenti, dunque la speranza. L’arte, la poesia, il romanzo sono spesso il frutto della difficoltà di vivere. Non siamo tutti artisti, poeti, romanzieri, ma la malinconia è un pessimismo, uno sconforto da cui possiamo far scaturire un flusso di energia. La Malinconia avvolge l’Europa dopo settant’anni di pace interna che hanno fatto perdere il senso delle proporzioni. La sua componente nostalgica porta a rimpiangere quel lungo periodo alle nostre spalle benché fosse tormentato dalla corsa alle armi atomiche. I pericoli d’oggi sono più vicini, meno apocalittici. L’europeo malinconico è inseguito dai lutti provocati dal terrorismo, dall’arrivo in massa dei migranti, dalla crisi economica. E’ impigliato nella nevrosi dell’insicurezza. La parola “guerra” risuona spesso, ma un pensiero al passato dovrebbe rammentare all’europeo malinconico che le guerre sono dei massacri (milioni di morti nei due conflitti mondiali del “secolo breve”), sono dei bombardamenti aerei, anche nucleari, sono delle invasioni, delle eci: è una mischia sanguinosa cristallizzata in quella vicina regione: da noi  arrivano i rigurgiti che fanno decine di morti. Ma le nostre frontiere non sono minacciate, né ci sono forze in grado di imporci l’abiura della nostra civiltà. La situazione è più che inquietante, richiede una polizia esperta e governi con nervi saldi. Nei nostri paesi velati di malinconia non è tuttavia in corso una terza guerra europea. Se chiamiamo guerra gli atti di terrorismo diamo ai fanatici che li compiono una dignità che non hanno: quella del soldato, dell’avversario, con il quale si può firmare un armistizio. E con loro è impensabile.
Berardo Valli – Dentro e fuori www.lespresso.it – L’Espresso – 31 Dicembre 2016 -

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