Nel Prossimo Novembre Jean Starobinski avrà novantasette
anni. Nella sua ricca vita, oltre che critico (ermeneuta) letterario è stato
psichiatra e storico della medicina. Ha coniugato esperienze e saperi come un
intellettuale del Rinascimento. E continua nel raro esercizio poiché
“L’inchiostro della malinconia” è comparso soltanto un paio d’anni fa nelle
librerie italiane, pubblicato da Einaudi, e due anni prima in quelle di
Ginevra, la sua città. Al centro del raffinato volume c’è la malinconia, elemento che caratterizza
spesso, in modo specifico, da secoli, le nostre culture: dalla mitologia alla
filosofia, alla morale, all’estetica, alla psicanalisi, alla poesa, alla
narrativa. La passione e la simpatia per Baudelaire hanno condotto Strarobiski
ad associare il poeta alla malinconia. Non ne ha fatto un caso clinico ideaòe.
Non ha definito il poeta dello spleen un malinconico, l’ha descritto come un
ammirevole mimo, con quella che si chiama la sua “isteria”, degli atteggiamenti
e dei meccanismi profondi della malinconia. Baudelaire me esprime la sofferenza
e la riflessività in una forma inedita, si potrebbe dire gloriosa. In lui si
riassumono la concezione antica dell’atrabile, la bile nera, nera come
l’inchiostro e l’inferno, e la declinazione contemporanea dei sintomi
della malinconia. Anche di questo si
parla nell’Antologia (“ La Beauté du monde”) dedicata a Starobinski, in cui
sono raccolti scritti dal 1946 al 2010, curata da Martin Ruelf, appena pubblicata
da Gallimard. Nel Saggio “Malinconia di sinistra”, pubblicato
da Feltrinelli, lo storico Enzo Traverso usa la stessa espressione ma
riferendosi a un elemento che sembra di altra natura. Dalla malinconia
individuale, intima, si passa alla malinconia collettiva. In Traverso siamo
lontani dallo sguardo malinconico, immobile, nella Parigi che si trasforma, di
cui parla Baudelaire nelle “Fleurs du mal”. Nella sinistra la malinconia è una
tradizione (nascosta), in cui è annidato il dubbio dell’intelligenza, ed anche
l’invincibile, dinamica convinzione che le macerie delle battaglie perdute
siano il cuore da cui nascono nuove idee e nuovi progetti. La Malinconia
affligge la nostra Europa. L’avvolge come un velo. Per questo le dedico la
cronaca di inizio d’anno. E’ una malinconia collettiva, simile dunque a quella
descritta dallo storco italiano, ma la sua natura è intima e ricorda quella
raccontata nella monumentale opera del critico e psichiatra ginevrino. In
apparenza non c’è proprio nulla di dinamico nella malinconia europea, dovuta
alla frustrante, spesso inconscia idea del declino. Un’idea che può essere
legata alla figura allegorica del pozzo, dove precipita il malinconico, usata
da Starobinski. Il pozzo non è tuttavia
soltanto la profondità quindi la tenebra, è anche dove zampillano le sorgenti,
dunque la speranza. L’arte, la poesia, il romanzo sono spesso il frutto della
difficoltà di vivere. Non siamo tutti artisti, poeti, romanzieri, ma la
malinconia è un pessimismo, uno sconforto da cui possiamo far scaturire un flusso
di energia. La Malinconia avvolge l’Europa dopo settant’anni
di pace interna che hanno fatto perdere il senso delle proporzioni. La sua
componente nostalgica porta a rimpiangere quel lungo periodo alle nostre spalle
benché fosse tormentato dalla corsa alle armi atomiche. I pericoli d’oggi sono
più vicini, meno apocalittici. L’europeo malinconico è inseguito dai lutti
provocati dal terrorismo, dall’arrivo in massa dei migranti, dalla crisi
economica. E’ impigliato nella nevrosi dell’insicurezza. La parola “guerra”
risuona spesso, ma un pensiero al passato dovrebbe rammentare all’europeo
malinconico che le guerre sono dei massacri (milioni di morti nei due conflitti
mondiali del “secolo breve”), sono dei bombardamenti aerei, anche nucleari,
sono delle invasioni, delle eci: è una mischia sanguinosa cristallizzata in
quella vicina regione: da noi arrivano i
rigurgiti che fanno decine di morti. Ma le nostre frontiere non sono
minacciate, né ci sono forze in grado di imporci l’abiura della nostra civiltà.
La situazione è più che inquietante, richiede una polizia esperta e governi con
nervi saldi. Nei nostri paesi velati di malinconia non è tuttavia in corso una
terza guerra europea. Se chiamiamo guerra gli atti di terrorismo diamo ai
fanatici che li compiono una dignità che non hanno: quella del soldato,
dell’avversario, con il quale si può firmare un armistizio. E con loro è
impensabile.
Berardo Valli – Dentro e fuori www.lespresso.it – L’Espresso – 31 Dicembre
2016 -
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