Milano. Stop all’austerity. Addio alle antiquate ricette keynesiane e
agli inutili stimoli a pioggia. I Pil non sale? No problem: per far ripartire
l’economia mondiale (e regalare qualche decimale di crescita all’Italia) c’è
una strada molto più semplice: convincere tutti a dormire di più. L’insonnia –
parola del Center for desease control Usa – “è un problema di salute pubblica”.
Gli americani hanno tagliato in mezzo secolo da 8 ore a 6 e mezza il tempo che
passano ogni notte tra le braccia di Morfeo, calcola Charles Cleizer,
responsabile di queste patologie ad Harvard. In Gran Bretagna la media è
crollata a 6,8 ore contro le 7,7 consigliate. E pagare un pedaggio salato
(oltre ai diretti interessati) è anche l’economia: i disturbi del sonno costano
all’Italia per l’Istituto superiore della Sanità fino a cinque miliardi l’anno.
Le imprese negli Stati Uniti perdono 63 miliardi l’anno a causa del bioritmo
sballato dei loro dipendenti e il costo totale del caro-insonnia per il Paese,
incluse spese sanitarie e altre uscite correlate, è per Rand Europe di 411
miliardi di dollari, il 2,2 % del Pil. La bolletta sale a 680 miliardi
includendo nel conto Germania (dove il 9% dorme meno), Gran Bretagna (o quasi),
insomma, è altissimo. E dopo aver sottovalutato il problema per anni, anche l’America Inc. si è arresa all’evidenza:
il riposo dei dipendenti è un bene prezioso per i conti societari. Almeno per
due motivi. Il primo è ridurre al minimo il rischio di incidenti: il disastro
ecologico della Exxon Valdex, la tragedia di Chernobyl e l’esplosione dello
Shuttle Challenger hanno tra le loro concause le troppe ore consecutive di
veglia di chi li ha causati. Il secondo è prevenire il “presentismo”, la nuova
patologia brevettata dai manuali medici per definire gli impiegati che si
presentano al lavoro senza aver dormito e in condizioni di lucidità
discutibili: riposare meno di sette ore, stima lo studio Rand, fa calare del
2,4% la produttività. In soldoni, è come se un dipendente lavorasse 6,7 giorni
in meno all’anno. La perdita per ogni singolo “malato” d’insonnia, calcola
Harvard, è di 2.280 dollari l’anno. E il diretto interessato “ha 1,62 volte di
possibilità in più di avere incidenti sul lavoro rispetto a un collega che ha
dormito tra sette e nove ore” come ha spiegato in uno studio Sergio Garbarino,
neurologo dell’Università di Genova e uno dei maggiori esperti mondiali sul
tema. Questo bollettino di guerra – specie la voce dei mancati guadagni, ça va sans dire – ha convinto le
società a stelle e strisce a correre ai ripari e a prendere il sonno per le
corna. L’Assicurazione Aetna paga un bonus di 25 dollari (per un massimo di 500
dollari l’anno) ai dipendenti che dormono venti giorni – non obbligatoriamente
consecutivi – per almeno sette ore. Il piano è stato lanciato dall’ad Mark
Bertolini dopo aver letto un articolo della Duke University in cui si sosteneva
che un lavoratore ben riposato aumenta il rendimento di 69 minuti al mese. Il
revisore dei conti PriceWaterhouse Cooper – una realtà che di numeri ne mastica
– organizza da qualche tempo corsi interni per insegnare ai dipendenti a
gestire al meglio il riposo notturno. Si illustrano i danni dell’uso dei
dispositivi elettronici a letto, si invita a non leggere mail di lavoro dopo
l’orario d’ufficio (abitudine che penalizza l’efficienza del giorno successivo,
certifica l’Università della Florida e proibita ormai in Francia dalla Loi Travail). Ben G.Jerry, lo storico
produttore di gelati americano, ha allestito i suoi uffici con salette e sdraio
riservate a chi vuol fare una pennichella a metà giornata. Un azzardo? Mica
tanto. La Nasa ha provato scientificamente che un pisolino post-prandiale di 26
minuti aumenta del 34% il rendimento e del 54% l’attenzione pomeridiana. E chi
si concede un riposino dopo aver tentato invano per ore di risolvere un
videogioco – garantisce la Harvard business Review – Ha il doppio di
possibilità di riuscirci al risveglio rispetto a chi si è incaponito a cercare
la soluzione senza prendersi una pausa. Di fronte all’evidenza scientifica,
insomma, l’insonnia è trattata oggi (ed era ora) come una seria malattia
professionale. Goldman Sachs ha nei suoi ranghi “sleep experts” per aiutare i
dipendenti a dormire meglio. Johnson G Johnson gestisce sofisticati corsi per
gli impiegati comprensivi di video rilassanti e diari del sonno personali per
monitorare i progressi. Google, Uber e Capital Lab hanno appena inserito nei
loro quartier generali aree ad hoc per chi vuole schiacciare un pisolino senza
essere disturbato. Chi non riposa per 20 ore di seguito, ammonisce un
consulente del lavoro autorevole come McKinsey, ha la stessa reattività di una
persona con tasso alcolemico dello 0,1% nel sangue. Quanto basta begli Usa per
essere accusati di ubriachezza. Decisamente meglio non rischiare e dormirci
sopra per le canoniche otto re. Ci tengono anche le aziende: la notte – se
dedicata a Morfeo – porta consiglio. E anche soldi, molti, ai datori di lavoro.
Ettore Livini – Attualità -
La Repubblica – 4 Gennaio 2017 -
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