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lunedì 9 gennaio 2017

Lo Sapevate che: Gli apprendisti stregoni della guerra biologica...



Nei fiumi dell’Australia c’è un pesce che rastrella i fondali, succhia particelle di cibo e risputa i sedimenti, che rimangono in sospensione nell’aria. Queste nuvole di pulviscolo intasano le branchie di altre specie di pesci, intorbidiscono l’acqua – danno per le specie che cacciano a vista – e ostacolano i raggi solari, impedendo la crescita delle piante, con conseguente decimazione degli invertebrati che se ne cibano. Questo pericolo per la biodiversità e una specie invasiva e resistente alle acque più degradate: la carpa, che ormai rappresenta il 90 per cento della biomassa nei fiumi australiani. Il governo la considera un male estremo, per il quale ha escogitato un ancor più estremo rimedio: un virus da rilasciare nei fiumi entro 2018. Un piano da 10 milioni di euro, che in patria sta sollevando molte perplessità. “Una volta in superficie, marcendo, le carpe uccise dal virus sottrarranno ossigeno all’acqua, facendo danni anche alle altre specie” dice Mike Braysher, docente di gestione delle risorse naturali all’Università di Canberra. “Quando liberi un virus, come ne controllo la diffusione? Può sopravvivere nelle gocce d’acqua sulle zampe degli uccelli e quindi diffondersi anche per via aerea per centinaia di chilometri. E se non si rimuoveranno in fretta i corpi dei pesci si rischierà di intossicare i piccoli acquedotti locali collegati all’acqua fluviale”. Il virus, chiamato cyprinid herpesvirus-3 (CyHV-3),è stato studiato negli ultimi sette anni dal Centro di ricerca sugli animali invasivi (Csiro) di Canberra e non avrebbe alcun effetto sulle principali specie di pesci australiani e neppure su polli, topi e rane. Ma perché proprio un virus? “I sistemi classici per controllare le specie invasive – trappole, esche avvelenate e fucili – mettono a rischio anche altri animali” dice Ken McColl, virologo dello Csiro. “I virus invece possono essere calibrati su una singola specie. Negli anni ’50, diffondendo il virus della mixomatosi tra i conigli, abbiamo ridotto la popolazione dell’80 per cento senza danni ad altre specie. Ma forse eliminare le carpe non basterà. “La loro diffusione è un sintomo del degrado dei fiumi, non la causa”. Contano molto di più altri fattori, per esempio gli scarichi di fosfati dalle fogne o di fertilizzanti agricoli, che producono un boom di alghe con l’effetto di ridurre l’ossigeno a disposizione dei pesci. Però per il governo sarebbero molto più difficili e costosi da affrontare obietta Braysher. Le carpe sono arrivate nei fiumi australiani nella seconda metà dell’800, per il desiderio dei coloni inglesi di ricreare un ambiente simile a quello della madrepatria, motivo per cui importarono anche molte altre specie “aliene” come conigli, volpi, cervi. Fino al 1960 andò tutto bene, poi un allevatore rilasciò presso la città di Boolarra una stirpe particolarmente robusta, che da allora non si è più fermata. Anche per questioni di fertilità: mentre i pesci nativi non depongono più di 70 mila uova all’anno, la carpa può superare il milione. Neppure questi numeri basano però a dissipare i dubbi sulla nuova strategia vitale, anche a causa dei grossolani errori di   compiuti in Australia in passato. “negli anni’90 gli allevatori per proteggere le loro greggi, hanno ridotto con esche e trappole la popolazione del più diffuso predatore australiano, il dingo (Canis lupus dingo). Risultato: con meno dingo, i danni al bestiame aumentarono” racconta Braysher. “I cani randagi occuparono infatti la nicchia ecologica lasciata libera dai dingo. E mentre i dingo cacciano in branco e dividono la preda minimizzando gli sprechi, i cani agiscono in modo disorganizzato uccidendo più prede di quante basterebbero ad alimentarli”. Così gli allevatori si sono dovuti attrezzare per difendere le loro greggi non dai dingo, ma da un nemico ancora più temibile. Il caso più eclatante risale però al 1985-2001 nell’isola Macquarie: decimati i conigli, i gatti selvatici si specializzarono nella caccia agli uccelli. Per difendere i volatili, le autorità azzerarono la popolazione dei gatti. Ma ciò portò a una nuova proliferazione incontrollata dei conigli e questi distrussero l’habitat degli uccelli da tutelare. Così fu necessario intervenire di nuovo per ridurre i conigli. Esistono anche esempi di controllo biologico intelligente: nel 2014, per ridurre la popolazione di mosche delle boscaglie, sono state liberate in Australia grandi quantità di scarabei stercorari. Portando sottoterra, sotto forma di palline, tutti gli escrementi che trovavano, questi minuscoli spazzini hanno ridotto il nutrimento e, quindi, la popolazione delle mosche. Senza effetti collaterali.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 25 Novembre 2016 -

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