America First, anzitutto,
l’America, dice Donald Trump. E si scorge, nello slogan del magnate, quella
vocazione neo-isolazionist che fu di altri presidenti repubblicani recenti,come
Ronald Reagan, come George W. Bush. Poi costretti dalle circostanze però,
benché riluttanti, a ricoprire il ruolo di gendarmi del mondo. Il primo per lo
scontro finale con “l’Impero del male” sovietico, il secondo a causa dell’11
settembre. Trump sostiene due linee solo apparentemente contraddittorie. Meno soldati statunitensi in giro per il pianeta perché
“costano” e aumento delle spese militari (compresa la proliferazione di testate
nucleari!) per mettere in sicurezza un territorio offeso non solo dagli
attentati alle Torri Gemelle ma anche dallo stillicidio di azioni di lupi
solitari che fanno più o meno riferimento allo Stato islamico. Il logico
corollario è la simpatia verso leader autoritari se non dittatori, come
Vladimir Putin, come Recep Tayyip Erdogan, addirittura come il nordcoreano Kim
Jong-un: usassero ricorrere a mamma Washington. Tanto più perché il
miliardario-esentasse rifugge dall’idea che sia compito del suo Paese
“esportare la democrazia”, come da dottrina neo-conservatrice. I buoni rapporti
con gli altri Stati sarebbero forieri di vantaggi economici nell’interscambio
commerciale, chiodo fisso per ogni imprenditore prestato alla politica. “The
Donald” è convinto che gli Usa spendano troppo per la Nato, assai più dei
partner che ne hanno solo benefici, e che una politica espansionista sia nemica
degli affari. Vincesse e riuscisse ad attuare questo programma, le conseguenze
non sarebbero indifferenti soprattutto per noi europei. Avrebbe un impulso
vigoroso l’idea, già accarezzata da Barack Obama, di un progressivo disimpegno
in Medio Oriente, area non più strategica perché l’anno prossimo l’America
raggiungerà l’autosufficienza energetica e non avrà più un vitale bisogno del
petrolio del Golfo. Con Hillary Clinton alla Casa Bianca, più adusa a
maneggiare i dossier per la sua precedente carica di Segretario di Stato, si
proseguirebbe nel solco della tradizione. La maggiore potenza coinvolta, seppur
con minor prepotenza (passi il gioco di parole) rispetto all’era Bush, nella
soluzione dei guai internazionali. Le due sponde dell’Atlantico più vicine e
dialoganti. Uno scenario più rassicurante per un’Europa che ha dimostrato, in
Siria come in Nordafrica, di non essere assolutamente nemmeno davanti all’uscio
di casa. Perché verso l’America coltiviamo da sempre un sentimento ambivalente.
La critichiamo spesso, ma quando non c’è manca.
Gigi Riva – Ghigliottina – L’Espresso – 9 Ottobre 2016 -
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