Luiz Inàcio Lula da
Silva è stato
definito il presidente più popolare del mondo. E’ l’uomo che ha dimezzato i
brasiliani che vivono al di sotto della soglia di povertà e ha raddoppiato il
numero di famiglie che posseggono una lavatrice. Durante i suoi due mandati il
Brasile ha finalmente costruito una classe media, accorciando la distanza tra
ricchi e poveri. Ha allontanato il Fondo monetario internazionale insieme alle
sue politiche di austerità. Ha ripartito il boom delle materie prime degli anni
Duemila tra tutta la popolazione, anziché riservare gli introiti, come accadeva
prima, ai soliti noti: un manipolo di uomini bianchi e latifondisti. Risultato:
le favelas da luoghi di disperazione sono diventate mete turistiche. Ma quando
l’economia mondiale ha tirato il freno a mano e l’espansione del Pil (che
sfiorava l’8 per cento) si è trasformata in una contrazione del 3,8 per cento,
con la disoccupazione in risalita; e quando le indagini giudiziarie sulla rete
di corruzione intorno ai gangli del potere iniziate fin dai primi anni del suo
governo si sono intensificate, quel Vecchio mondo, che pareva definitivamente
sconfitto, ha rialzato la testa. L’uomo più potente tra gli imprenditori di San
Paolo, Paulo Skaf, esulta alla cacciata della presidente Dilma Rousseff e alle
sfortune del Partito dei lavoratori. Le associazioni di industriali si dicono
ottimiste sul futuro e chiedono una revisione delle politiche fiscali. Meno
tasse,ovviamente e un taglio alle misure di sostegno al reddito. Per la gioia
degli indici di Borsa, subito schizzati in alto. E in basso chi rimane? I
milioni di brasiliani poveri e scuri che avevano creduto in un lieto fine.
Federica Bianchi – Mani Pulite in Sudamerica – L’Espresso – 9
Ottobre 2016
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