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sabato 15 ottobre 2016

Lo Sapevate Che: Per giudicare gli altri ci vuole molta pazienza...



 Fare Il Membro Di Una Giuria Popolare è un mestiere a tempo pieno, finché dura il processo. Sono convocato alle 9 del mattino e rilasciato verso le 5 del pomeriggio. Il mio “altro” lavoro devo concentrarlo prima dell’alba anticipando di molte ore la sveglia, poi ho un’oretta e mezza di intervallo pranzo che passo incollato al computer; poi ancora la sera tardi. Rinuncio alla vita sociale, cancello viaggi, disdico visite mediche. E non posso lamentarmi perché gli altri 13 giurati (siamo 12 membri permanenti e due supplenti) Hnno problemi grossi quanto i miei o di più: c’è un afroamericano che fa l’autista in proprio e sta perdendo un sacco di soldi, nel suo caso c’è una diaria ma è ridicola (40 dollari al giorno); c’è una mamma single che non può andare a prendere il figlio all’asilo nido. Nessuno ti ringrazia, nessuno ti compiange. Fare il giurato popolare prima o poi capita a tutti. Amministrare la giustizia qui è un dovere civico ed è anche un diritto: il giorno che dovessimo finire noi sotto processo, è considerata una garanzia che a giudicarci siano i nostri pari, altri cittadini come noi (poi magari se sei nero in uno Stato del Sud, e ti trovi davanti una giuria di soli bianchi, la garanzia è discutibile). Ma soprattutto, il sacrificio che stiamo facendo noi è poca cosa rispetto alla posta in gioco per le presunte vittime e gli imputati. Le loro vite sono nelle nostre mani. Sbagliando decisione finale potremmo mandare in carcere degli innocenti, o lasciare impunito un crimine e tradire le vittime. Sto imparando molto, su ambienti sociali lontani dal mio, mondi dove la realtà quotidiana è fatta di miseria, sfruttamento, prostituzione, estorsione. Sulla cita dei poliziotti a contatto quotidiano con la violenza, l’inganno, l’abuso. Suk traffico sessuale, le donne che finiscono in quel giro. Sull’immigrazione clandestina e l’insicurezza creata dallo status d’illegalità e precarietà che rende ricattabili. Sto imparando ancora di più sui miei limiti. Un giornalista in fondo si muove su un terreno non molto diverso da un giudice e da un poliziotto: la ricerca della verità, lo sforzo di imparzialità e di oggettività. Prima di dire innocente o colpevole dobbiamo ascoltare tutte le versioni, metterci in tutte le angolature, riconoscere che la verità a volte non è bianco o nero, che in tutte le situazioni umane esistono zone di ambiguità. Da giurati dovremo decidere in coscienza, “al di là del ragionevole dubbio”, se prove e testimonianze conducono alla condanna o all’assoluzione. (..) Mi consola in parte il fatto che non sono solo. Alla fine saremo in 12 a consultarsi, discutere fra noi e decidere. Il mio parere sarà bilanciato da quello di altre persone, donne e uomini, neri e asiatici e bianchi, ciascuno avrà portato la sua esperienza di vita e il suo buonsenso e speriamo che i pregiudizi degli uni e degli altri si compensino. Ci vuole pazienza, concentrazione, consapevolezza dei propri limiti, spirito di cooperazione. E così in fondo sto ricevendo anche una lezione sulla democrazia. Se è sana, se funziona come deve, se ci crediamo davvero, la democrazia assomiglia proprio a quello sforzo che stiamo facendo noi 12 giurati popolari, micro campione della società. La democrazia è fatica quotidiana per raggiungere un po’ di giustizia, qualche soluzione ai torti, mediando fra sensibilità diverse, dialogando per conciliare punti di vista conflittuali. E poi alla fine, ma solo alla fine, si vota e ci si conta. Com’è distante, questo piccolo esercizio di democrazia fatto da noi giurati chiusi in una stanza per sette ora al giorno e per tanti giorni di fila, dal dibattito politico fatto a colpi di slogan, di 14° caratteri, le battute lapidarie su Twitter, le frasi a effetto e gli insulti, le semplificazioni e le aggressioni verbali, il disprezzo dell’avversario.
Federico Rampini – Opinioni – La Donna di Repubblica – 8 Ottobre 2016 -

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