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venerdì 7 ottobre 2016

Lo Sapevate Che: Non c'è Skype che tenga, quando i ragazzi volano dal nido...



Nella Valle Delle Lacrime che in questi giorni di autunno si allaga, milioni di genitori americani piangono la gioia amara del “nido vuoto”. Dopo almeno diciassette anni di pannolini, vaccinazioni, ginocchia sbucciate, liti, ripetizioni, pagelle, notti insonni aspettando che tornassero a casa, lezioni di nuoto e di balletto, partite di calcio e di basket, il giorno per il quale tutto è stato fatto e sofferto e migliaia di dollari sono stati spesi è arrivato. E si scopre quanto sappia di sale, che è appunto il sapore delle lacrime. La sindrome dell’ “empty nester”. della madre e del padre che vedono l’unico, o il più giovane dei propri figli, volare via dal nido per trasferirsi in un college lasciando la casa vuota, non è ancora riconosciuta come una patologia, ma chi l’ha vissuta sa che si avvicina molto alla depressione. E’ una crisi tanto più acuta, quanto più grande era stata la felicità conosciuta pochi mesi prima, all’arrivo della lettera di accettazione dall’Università prescelta. E conferma la cinica saggezza dell’avvertimento secondo il quale occorre fare molta attenzione a esprimere desideri, perché si possono avverare. Improvvisamente, madri che per anni erano state costrette a palleggiare casa a lavoro, a spalmarsi tra campi di calcio, ufficio, scuole di balletto, piscine, negozi, palestre di judo, lavando tonnellate di indumenti fangosi e mietendo scarpe disseminate ovunque, si trovano dentro case o appartamenti lindi, ordinati e un po’ morti. “ Ho maledetto per anni quei branchi di teen agers rumorosi e maleodoranti che m’invadevano casa, spesso accompagnati da insopportabili ragazzine urlanti, che magari pretendevano che dessi loro anche da mangiare e ora sarei pronta a pagare per riaverli tra i piedi”, ha detto l’attrice Alfre Woodward, interprete del film 12 anni Schiavo, al New York Times. Né la sindrome colpisce solo le madri: dopo avere lasciato il più giovane dei miei figli al dormitorio del suo College dovetti, di nascosto fermare l’auto ai bordi della strada, per piangere a dirotto. (…).  La sindrome non risparmia poveri o ricchi, mezze calzette o milionari. Chi viveva con i figli in pochi – metri quadrati sentirà più acutamente la mancanza del costante contatto fisico. Chi aveva grandi case, avvertirà il vuoto di stanze ormai inutili, rimbalzando tra le pareti come palline di gomma dentro uno scatolone. Sono riti di passaggio, che nell’America del culto dell’indipendenza individuale corrispondono ai pianti nei matrimoni tradizionali, dove gli sposi cominciavano una loro vita autonoma ormai  destinati a vivere lontani. E’ una rappresentazione di perdita, addolcita dal sapere che non sarà irreversibile, che un giorno quel ragazzo o quella ragazza che non vedono l’ora di volare via torneranno al nido scaricando su genitori promossi al rango di nonni un’altra generazione di uccellini, per riempire il vuoto che avevano creato. Lo stormo va e poi ritorna.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di Repubblica -  1 Ottobre 2016 -

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