Nella Valle Delle Lacrime che in questi giorni di autunno si allaga, milioni di
genitori americani piangono la gioia amara del “nido vuoto”. Dopo almeno
diciassette anni di pannolini, vaccinazioni, ginocchia sbucciate, liti,
ripetizioni, pagelle, notti insonni aspettando che tornassero a casa, lezioni
di nuoto e di balletto, partite di calcio e di basket, il giorno per il quale
tutto è stato fatto e sofferto e migliaia di dollari sono stati spesi è arrivato.
E si scopre quanto sappia di sale, che è appunto il sapore delle lacrime. La
sindrome dell’ “empty nester”. della
madre e del padre che vedono l’unico, o il più giovane dei propri figli, volare
via dal nido per trasferirsi in un college lasciando la casa vuota, non è
ancora riconosciuta come una patologia, ma chi l’ha vissuta sa che si avvicina
molto alla depressione. E’ una crisi tanto più acuta, quanto più grande era
stata la felicità conosciuta pochi mesi prima, all’arrivo della lettera di accettazione
dall’Università prescelta. E conferma la cinica saggezza dell’avvertimento
secondo il quale occorre fare molta attenzione a esprimere desideri, perché si
possono avverare. Improvvisamente, madri che per anni erano state costrette a
palleggiare casa a lavoro, a spalmarsi tra campi di calcio, ufficio, scuole di
balletto, piscine, negozi, palestre di judo, lavando tonnellate di indumenti
fangosi e mietendo scarpe disseminate ovunque, si trovano dentro case o
appartamenti lindi, ordinati e un po’ morti. “ Ho maledetto per anni quei
branchi di teen agers rumorosi e maleodoranti che m’invadevano casa, spesso
accompagnati da insopportabili ragazzine urlanti, che magari pretendevano che
dessi loro anche da mangiare e ora sarei pronta a pagare per riaverli tra i
piedi”, ha detto l’attrice Alfre Woodward, interprete del film 12 anni Schiavo, al New York Times. Né
la sindrome colpisce solo le madri: dopo avere lasciato il più giovane dei miei
figli al dormitorio del suo College dovetti, di nascosto fermare l’auto ai
bordi della strada, per piangere a dirotto. (…). La sindrome non risparmia poveri o ricchi, mezze
calzette o milionari. Chi viveva con i figli in pochi – metri quadrati sentirà
più acutamente la mancanza del costante contatto fisico. Chi aveva grandi case,
avvertirà il vuoto di stanze ormai inutili, rimbalzando tra le pareti come
palline di gomma dentro uno scatolone. Sono riti di passaggio, che nell’America
del culto dell’indipendenza individuale corrispondono ai pianti nei matrimoni
tradizionali, dove gli sposi cominciavano una loro vita autonoma ormai destinati a vivere lontani. E’ una
rappresentazione di perdita, addolcita dal sapere che non sarà irreversibile,
che un giorno quel ragazzo o quella ragazza che non vedono l’ora di volare via torneranno
al nido scaricando su genitori promossi al rango di nonni un’altra generazione
di uccellini, per riempire il vuoto che avevano creato. Lo stormo va e poi
ritorna.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna
di Repubblica - 1 Ottobre 2016 -
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