La dipendenza da serie tv ha un nome: binge watching. Letteralmente,
abbuffarsi (binge) di contenuti video
(watching). Per gli esperti basta guardare 2-6 episodi di fila di una fiction
per farne una piccola esperienza. Ma il vero binge watcher finisce per perdere il controllo sulla propria vita e
manifesta sintomi molto simili a quelli della dipendenza da alcol, o da gioco:
crisi d’astinenza, abbrutimento psico-fisico, senso di colpa. Quest’ultimo,
secondo uno studio della Trinity University (Texas), come consapevolezza del
tempo sottratto ad attività più importanti. Ed è indicativo che siano i teen dramas (fiction a tema
adolescenziale) a istigare i sensi di colpa più acuti: minore è la qualità del
prodotto, maggiore è il rimpianto. Questo è anche il punto di vista di una
semiologa italiana, Valentna Pisanty, che ha analizzato il comportamento del binge watching come fenomeno culturale.
In che modo, cioè, i personaggi, le trame, gli universi narrativi della fiction
influenzano la vita del consumatore bulimico? Ne parlerà il 9 settembre a
Camogli, in occasione del Festival della Comunicazione. Oltre cento ospiti – da
Piero Angela a Roberto Benigni – e un fil rouge, Pro e contro il web, titolo della
lectio magistralis che avrebbe dovrebbe dovuto tenervi Umberto Eco, scomparso
lo scorso febbraio. Web e binge watching
vanno decisamente d’accordo. “In passato” spiega la Pisanty “ i palinsesti tv
imponevano i tempi di fruizione delle fiction, ma oggi, con i nuovi colossi
della distribuzione, come Netflix e Sky, quei vincoli non ci sono più. A questo
si combina la “serialità continua”, cioè l’intreccio che non si scioglie mai,
neppure a fine stagione. Un meccanismo che crea, dipendenza perché fa leva sul
bisogno umano di compiutezza, di catarsi”. Si tratta, però, di una dipendenza
atipica. “Ad esempio “drogarsi”di True
Detective o di Breaking Bad, cioè prodotti di indubbia qualità, non
comporta uno stigma sociale. Anzi, ha un valore coesivo, estetico, che rende
incerta la linea tra drogato e cultore della materia. Il serializzato si pone
anche come “seriologo”. Per lui uscire dal tunnel sarebbe abbastanza facile, ed
è interessante che sia disposto a metter da parte la propria vita pur di
prolungare il soggiorno in quell’inverno narrativo. Quasi che il mondo reale
fosse un pallido riflesso, o una versione malriuscita, di quello fittizio”.
Giulia Villoresi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 2
settembre 2016 -
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