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venerdì 9 settembre 2016

Lo Sapevate Che: Ore e ore di serie TV? Si chiama Binge Watching e crea dipendenza...



La dipendenza da serie tv ha un nome: binge watching. Letteralmente, abbuffarsi (binge) di contenuti video (watching). Per gli esperti basta guardare 2-6 episodi di fila di una fiction per farne una piccola esperienza. Ma il vero binge watcher finisce per perdere il controllo sulla propria vita e manifesta sintomi molto simili a quelli della dipendenza da alcol, o da gioco: crisi d’astinenza, abbrutimento psico-fisico, senso di colpa. Quest’ultimo, secondo uno studio della Trinity University (Texas), come consapevolezza del tempo sottratto ad attività più importanti. Ed è indicativo che siano i teen dramas (fiction a tema adolescenziale) a istigare i sensi di colpa più acuti: minore è la qualità del prodotto, maggiore è il rimpianto. Questo è anche il punto di vista di una semiologa italiana, Valentna Pisanty, che ha analizzato il comportamento del binge watching come fenomeno culturale. In che modo, cioè, i personaggi, le trame, gli universi narrativi della fiction influenzano la vita del consumatore bulimico? Ne parlerà il 9 settembre a Camogli, in occasione del Festival della Comunicazione. Oltre cento ospiti – da Piero Angela a Roberto Benigni – e un fil rouge, Pro e contro il web, titolo della lectio magistralis che avrebbe dovrebbe dovuto tenervi Umberto Eco, scomparso lo scorso febbraio. Web e binge watching vanno decisamente d’accordo. “In passato” spiega la Pisanty “ i palinsesti tv imponevano i tempi di fruizione delle fiction, ma oggi, con i nuovi colossi della distribuzione, come Netflix e Sky, quei vincoli non ci sono più. A questo si combina la “serialità continua”, cioè l’intreccio che non si scioglie mai, neppure a fine stagione. Un meccanismo che crea, dipendenza perché fa leva sul bisogno umano di compiutezza, di catarsi”. Si tratta, però, di una dipendenza atipica. “Ad esempio “drogarsi”di True Detective o di Breaking Bad, cioè prodotti di indubbia qualità, non comporta uno stigma sociale. Anzi, ha un valore coesivo, estetico, che rende incerta la linea tra drogato e cultore della materia. Il serializzato si pone anche come “seriologo”. Per lui uscire dal tunnel sarebbe abbastanza facile, ed è interessante che sia disposto a metter da parte la propria vita pur di prolungare il soggiorno in quell’inverno narrativo. Quasi che il mondo reale fosse un pallido riflesso, o una versione malriuscita, di quello fittizio”.
Giulia Villoresi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 2 settembre 2016 -

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