Dove abbiamo sbagliato? Barack Obama
una prima risposta l’ha già data: “Smettetela di trattare la politica come un
reaity show. Eleggere il presidente è una cosa seria”. Dove abbiamo sbagliato,
se lo chiedono in molti esperti, sondaggisti, giornalisti. La prima ragione
dietro questa autocritica è la dèbacle
nelle previsioni. Nessuno capì il fenomeno Donald Trump. All’annuncio
della sua candidatura molti cedettero fosse un giochetto, come quello che fece
nel 2012. Poi lo trattarono come un fenomeno divertente ma passeggero.
Passavano i mesi e i media continuavano a ripetere: non può durare, tra un po’ crolla.
Fin qui sono tutti d’accordo: le più grandi firme del giornalismo americano
hanno subito uno smacco. (..). C’è un ‘America profonda che aspettava da tempo un Messia capace di
far sognare una rinascita, solleticando il nazionalismo. Aspettava qualcuno che
promettesse un futuro radioso. E’ un’America che ha sofferto molto per la
crisi, per le delocalizzazioni di fabbriche in Cina o in Messico, per
l’impoverimento della classe media. E’ anche un America razzista, certo, è
pronta a scaricare le colpe dei suoi problemi su qualche minoranza: i neri che
hanno occupato la presidenza con uno dei loro, gli ni, i musulmani. immigrati
clandestini, i musulmani. Ma è un pezzo della società reale che Trump ha saputo
capire. I media no, perché sono abituati a vivere in simbiosi con le èlite.
(..). La logica dell’audience ha messo in sordina uno dei doveri fondamentali
del giornalismo: scavare dietro le apparenze, verificare le affermazioni. Trump
è uno pseudo imprenditore che ha spesso imbrogliato i suoi clienti. Sbruffone,
vanaglorioso e disonesto. E’ un bugiardo seriale, ha collezionato menzogne nel
suo business e fa la stessa cosa in politica. Si contraddice continuamente, fa
promesse assurde. I media lo hanno trattato fin troppo bene, le contestazioni e
le rettifiche delle sue bugie avvengono in modo troppo blando e timido. La vera
colpa dei media è di prestarsi al suo gioco per far spettacolo, diseducando
l’opinione pubblica. (..). Se i giornalisti denunciano le sue
follie, la folla che adora Trump pensa che i disonesti siano i giornalisti. Si
cerca altre fonti di informazioni, che confermino i pregiudizi e anche le
falsità. Un caso da manuale, in questo senso, rimarrà per sempre la falsa
leggenda su Obama nato in Kenya e musulmano. Ampiamente sbugiardata, continua
tuttavia ad essere considerata vera da metà dei repubblicani. A che servono i
fatti, se ognuno preferisce convincersi di una realtà immaginaria? Scavando più
in profondità, una teoria nuova si affaccia, sulla Seconda Transizione
Demografica. Il fenomeno Trump sarebbe il sintomo di un turbamento legato a una
crisi storica. Il parto di una società multietnica avviene anche in America,
nel dolore e negli spasmi. Quasi metà della società americana, per lo più
bianchi di mezza età e con basso livello d’istruzione, si sento straniera in
casa, dice adesso basta, non sappiamo più chi siamo e in che paese abitiamo. Il
ritmo del cambiamento è stato vertiginoso, anche nei rapporti tra i sessi, la
parità femminile, i diritti dei gay, la rivoluzione tecnologica digitale,
l’autonomia degli adolescenti. In mezzo a tutto questo, per fermare Trump
basterebbe davvero un atteggiamento diverso dei media?
Federico Rampini – Donna di Repubblica – 4 giungo 2016 -
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