Mi incuriosisce un suo
pensiero riferito alla natura dell’uomo. Lei dice sostanzialmente che l’uomo
non è sicuro che venga da un’evoluzione animale, come sosterrebbe l’idea
darwiniana, in quanto non ha istinti, ma solamente due pulsioni: la sessualità
e l’aggressività. E che per queste caratteristiche principali l’uomo dal mondo
animale si differenzia. Bene, qui nasce la mia domanda. Se Dio è una probabile
invenzione dell’uomo (perché nel pensiero greco tutto nasce vive e muore senza
un volere divino), allora secondo Lei, l’uomo da dove è venuto per essere
quello che oggi è come lo conosciamo, cioè con caratteristiche radicalmente
diverse dagli animali? Walter Macorano waltermac@alice.it
Da dove venga l’uomo non lo so. Quel
che so è che non può essere definito un”animale ragionevole” perché non
possiede la caratteristica tipica di tutti gli animali, cioè l’istinto. Questo infatti, è una risposta “rigida” agli
stimoli, per cui se per esempio offro della carne a un erbivoro, questi non la
percepisce come cibo. Lo stesso “istinto sessuale” nell’uomo è così poco
“istintivo che può esprimersi nelle più svariate perversioni (cosa che non
sembra concessa agli animali), o, come dice Freud, si può “sublimare” in
espressioni non sessuali, come una creazione poetica o artisti. (..). Che l’uomo non abbia istinti è una tesi
sostenuta, oltre che da Platone, da Tommaso d’Aquino, Kant, Herder,
Nietzsche e persino da Freud, che nel corso
degli anni abbandona Trieb, che, a differenza dell’istinto diretto a una meta,
è una semplice “spinta” o una “pulsione a meta indeterminata”. Nel secolo
scorso Arnold Gehlen chiarì come l’uomo sia un essere manchevole che, inadatto
alla vita in un ambiente naturale, non avrebbe potuto sopravvivere se non si
fosse creato una seconda natura artificiale per compensare il suo deficiente
equipaggiamento organico. Questa seconda vita si chiama “cultura e comprende in
primo luogo tutte le azioni riuscite, a cui l’uomo è giunto per prove ed
errori, e che, una volta acquisite, vengono trasmesse da generazione in
generazione, creando la riserva di memoria che si chiama “tradizione”. In
secondo luogo comprende le istituzioni, che con le leggi e le punizioni regolano
i comportamenti non regolati dagli istinti. La stessa “libertà” di cui l’uomo
si vanta rispetto all’animale non ha altra origine se non nell’indeterminatezza
in cui esso viene a trovarsi per mancanza di percorsi prestabiliti dall’ordine
istintuale. Questa è anche la ragione per cui l’animale può vivere solo nel suo
ambiente, che è poi quello adatto alla specializzazione del suo istinto, mentre
l’uomo è aperto al mondo e all’esperienza del mondo. E questa è la ragione per
cui, scrive Ghelen: “ Lo vediamo vivere dappertutto, a differenza di tutti gli
animali specializzati, i cui habitat sono geograficamente ben circoscritti”.
Apertura al mondo e plasticità nell’adattamento fanno dell’uomo un essere la
cui vita dipende dalla “costruzione” che egli ne fa, attraverso quelle
procedure di selezione e stabilizzazione con cui con cui raggiunge
“culturalmente” quella selettività e stabilità che l’animale, grazie
all’istinto, ha per natura. Perché le cose siano andate così non lo sappiamo,
ma le cose stanno così lo constatiamo ogni giorno, non perché l’uomo, a
differenza dell’animale, abbia lo “spirito”, ma perché non essendo condizionato
dall’istinto, per non distinguersi ha dovuto costruirsi quella seconda natura
che chiamiamo “cultura”, fatta di tecnica che ne assicura l’esistenza, e di
istituzioni che ne regolano la condotta. Il problema è che la tecnica non
diventi a tal punto egemone da ridurre l’uomo a semplice funzionario dei suoi
apparati, e le istituzioni così impotenti da non essere in grado di impedirlo.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 28 maggio 2016 -
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