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giovedì 2 giugno 2016

Lo Sapevate Che: Liberi dagli istinti dobbiamo inventarci la vita...



Mi incuriosisce un suo pensiero riferito alla natura dell’uomo. Lei dice sostanzialmente che l’uomo non è sicuro che venga da un’evoluzione animale, come sosterrebbe l’idea darwiniana, in quanto non ha istinti, ma solamente due pulsioni: la sessualità e l’aggressività. E che per queste caratteristiche principali l’uomo dal mondo animale si differenzia. Bene, qui nasce la mia domanda. Se Dio è una probabile invenzione dell’uomo (perché nel pensiero greco tutto nasce vive e muore senza un volere divino), allora secondo Lei, l’uomo da dove è venuto per essere quello che oggi è come lo conosciamo, cioè con caratteristiche radicalmente diverse dagli animali?  Walter Macorano waltermac@alice.it

Da dove venga l’uomo non lo so. Quel che so è che non può essere definito un”animale ragionevole” perché non possiede la caratteristica tipica di tutti gli animali, cioè l’istinto.  Questo infatti, è una risposta “rigida” agli stimoli, per cui se per esempio offro della carne a un erbivoro, questi non la percepisce come cibo. Lo stesso “istinto sessuale” nell’uomo è così poco “istintivo che può esprimersi nelle più svariate perversioni (cosa che non sembra concessa agli animali), o, come dice Freud, si può “sublimare” in espressioni non sessuali, come una creazione poetica o artisti. (..).  Che l’uomo non abbia istinti è una tesi sostenuta, oltre che da Platone, da Tommaso d’Aquino, Kant, Herder, Nietzsche  e persino da Freud, che nel corso degli anni abbandona Trieb, che, a differenza dell’istinto diretto a una meta, è una semplice “spinta” o una “pulsione a meta indeterminata”. Nel secolo scorso Arnold Gehlen chiarì come l’uomo sia un essere manchevole che, inadatto alla vita in un ambiente naturale, non avrebbe potuto sopravvivere se non si fosse creato una seconda natura artificiale per compensare il suo deficiente equipaggiamento organico. Questa seconda vita si chiama “cultura e comprende in primo luogo tutte le azioni riuscite, a cui l’uomo è giunto per prove ed errori, e che, una volta acquisite, vengono trasmesse da generazione in generazione, creando la riserva di memoria che si chiama “tradizione”. In secondo luogo comprende le istituzioni, che con le leggi e le punizioni regolano i comportamenti non regolati dagli istinti. La stessa “libertà” di cui l’uomo si vanta rispetto all’animale non ha altra origine se non nell’indeterminatezza in cui esso viene a trovarsi per mancanza di percorsi prestabiliti dall’ordine istintuale. Questa è anche la ragione per cui l’animale può vivere solo nel suo ambiente, che è poi quello adatto alla specializzazione del suo istinto, mentre l’uomo è aperto al mondo e all’esperienza del mondo. E questa è la ragione per cui, scrive Ghelen: “ Lo vediamo vivere dappertutto, a differenza di tutti gli animali specializzati, i cui habitat sono geograficamente ben circoscritti”. Apertura al mondo e plasticità nell’adattamento fanno dell’uomo un essere la cui vita dipende dalla “costruzione” che egli ne fa, attraverso quelle procedure di selezione e stabilizzazione con cui con cui raggiunge “culturalmente” quella selettività e stabilità che l’animale, grazie all’istinto, ha per natura. Perché le cose siano andate così non lo sappiamo, ma le cose stanno così lo constatiamo ogni giorno, non perché l’uomo, a differenza dell’animale, abbia lo “spirito”, ma perché non essendo condizionato dall’istinto, per non distinguersi ha dovuto costruirsi quella seconda natura che chiamiamo “cultura”, fatta di tecnica che ne assicura l’esistenza, e di istituzioni che ne regolano la condotta. Il problema è che la tecnica non diventi a tal punto egemone da ridurre l’uomo a semplice funzionario dei suoi apparati, e le istituzioni così impotenti da non essere in grado di impedirlo.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 28 maggio 2016 -

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