Io non credo che “Chi
si accontenta gode”. Penso, al contrario, che l’accumulo di frustrazione sia la
causa che muove i mali del mondo. I buoni sentimenti hanno forti limiti
naturali: non puoi scegliere chi o cosa amare o essere, puoi fartelo andar bene
(pensiero positivo) ma è un surrogato che nel tempo avvelena. Non sono io che
mi sono creata. Perché dovrei essere felice così? Se avessi potuto,mi sarei
costruita in modo diverso. Quello che era nelle mie possibilità terrene l’ho
fatto, non potevo fare di più. Ma i miei progetti erano diversi. Ecco, ti viene
data solo la possibilità di sognare, di spaziare senza restrizioni nei
desideri, ma con limiti severissimi per realizzarli. Prendere quello che viene,
come viene, non cambia le cose: è un inganno per noi stessi, una sceneggiatura
che si adatta al caso per trovare un senso (a volte divino) e soffrire meno. La
gioia è il riconoscimento di essere finalmente in linea con la parte autentica
di noi stessi. Quello che avremmo voluto essere se avessimo potuto scegliere.
Laura Battistella lb.grafuca@libero.it
Lei ritiene giustamente che lo scopo
della vita sia realizzare se stessi, perché solo in questa realizzazione si
trova la gioia. Ma questa autorealizzazione è condizionata, quando non
impedita, da mille circostanze che non dipendono da noi, a incominciare dalla
nascita, che avviene senza il nostro consenso per il desiderio di altri, per un
puro incidente, o per tutt’altre ragioni che hanno in comune il fatto che non
siamo noi ad averle scelte. Una volta nati vediamo la luce in una certa terra,
dove vige una certa cultura, una certa lingua, certi usi e costumi che, a
prescindere da ogni nostra possibilità di scelta, ci condizionano
ineluttabilmente. (..). Dov’è dunque la libertà con cui poter scegliere e
reperire il senso della nostra esistenza? Senso. Una parola grossa. L’unico
significato che riesco a darle non è altro che il desiderio di vedere il tempo
della mia vita iscritto in un disegno che ho scelto, costruendo in tal modo una
storia in cui mi riconosco. (..). Ciò significa non pretendere di oltrepassare
quei limiti molto angusti che la nostra illusione di libertà riesce a
ritagliarsi tra i vincoli inoltrepassabili a cui ineluttabilmente ci lega il
nostro destino. (..). A chi si recava a Delfi per conoscere il proprio destino
futuro, l’oracolo giustamente rispondeva: “Conosci te stesso”, perché se non ti
conosci incominci a sognare cose che sono fuori dalle tue possibilità, ponendo
così le premesse del tuo sicuro fallimento. (..). Cercare la felicità, generata
dalla realizzazione di sé, al di fuori di questo stretto sentiero indicato
dall’oracolo di Delfi è illusorio, e ogni illusione ha come suo approdo la delusione,
e quindi lo sconforto, la perdita dell’autostima che neppure colpevolizzando
gli altri si riesce a recuperare. Siamo sempre noi la causa delle
insoddisfazioni che non dipendono dal fatto che le stelle non ci hanno
assecondato, ma dal fatto che abbiamo desiderato al di là della giusta misura.
Quella che sempre “nelle stelle” era scritta per noi, ma noi non abbiamo voluto
vedere, animati come eravamo dalla ricerca di un senso che volevamo costruire a
partire dal nostro desiderio. E che invece ci sarebbe apparso solo alla fine
della vita, guardando semplicemente le cose che avevamo fatto. Dopo di che, la
morte, rispetto alla quale, come scrive Sarte: “E’ la stessa cosa aver guidato
popoli o essersi ubriacati in solitudine”.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 4 giugno 2016 -
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