La Democrazia Muta e inerte rischia di sostituirsi alla
democrazia consapevole e partecipata. Lo certifica il risultato inconcludente
quanto prevedibile del referendum di domenica 19 aprile. Mancato quorum – ha
votato solo il 32, 2 per cento degli aventi diritto – il presidente del
Consiglio, fautore dell’astensione, non solo si è intestato il facile
risultato. E’ andato oltre. Ha provato a trasformare in consenso personale, per
sé e per il suo governo, quel senso di sfinimento che attraversa l’Italia nei
confronti delle forme di partecipazione democratica. Quel 68,8 per cento che è
rimasto a casa – chi per legittima valutazione politica, chi semplicemente per
disinteresse – è diventato in blocco una maggioranza pro-Renzi. Maggioranza
silenziosa. Precettata d’ufficio a convalidare una vittoria sul raccogliticcio fronte avverso.(..). Anzi,
il risultato referendario è stato per Renzi il pretesto per invocare il
superamento della “guerra civile ideologica” che, ha detto a caldo domenica
sera, ha bloccato e continua a bloccare il Paese. Fa Impressione Sentir Parlare il premier di guerra civile, sia pure
limitata alla sfera ideologica. In precedenza non si era mai spinto a tanto. Al
meeting di Rimini di Comunione e liberazione, la scorsa estate, aveva
archiviato berlusconismo e antiberlusconismo, posti sullo stesso piatto della
bilancia: pari sono. Il percorso renziano tuttavia, è coerente con il
sentimento e il risentimento prevalenti tra la gente. Non cittadini, ma gente,
massa indistinta di delusi, sfiduciati, incazzati, traditi dai partiti.(..).
Matteo pié veloce è egli stesso causa ed effetto di questa opinione diffusa di
disincanto. Troppe aspettative finiscono inevitabilmente per trasformarsi in un
incattivimento degli umori collettivi. Renzi, Molto Meglio dei suoi avversari
interni ed esterni, sa però fiutare l’aria che tira. Svuotando il referendum
sulle trivellazioni ha abilmente trasformato in un successo quel dato che, in
tutte le altre occasioni, viene stigmatizzato come una malattia della
democrazia: il rifiuto delle urne. Arma pericolosa nelle mani dei populisti,
riflette il politologo Piero Ignazi . Già ci si interroga su quale potrà essere
il livello di partecipazione all’unico referendum che sta a cuore al premier-segretario.
Quello di ottobre, destinato a confermare il nuovo assetto costituzionale
appena approvato in via definitiva. Per quel tipo di consultazione non è
richiesto quorum, ma poiché Renzi lo sta presentando come un plebiscito sulla
sua persona – prendere o lasciare – ha bisogno di una valanga di sì alla
riforma per legittimarsi una volta e per sempre agli occhi (appannati) degli
italiani. Azzardo una previsione: vincerà la prova. Per gli stessi motivi per
cui tanti non votano più. Renzi infatti farà leva sui tanti italiani conviti
che. rispetto a una democrazia impotente, sia preferibile un decisionismo
interpretato da un uomo solo al comando. La nuova Costituzione sembra cucita su
misura affinché Renzi la indossi per perfezionare quel “governo personale”
instaurato di fatto due anni fa. Sarà il
vero trapasso storico delle nostre istituzioni repubblicane. Abbattute non per
effetto di una “guerra civile” per fortuna mai combattuta. Ma rivoluzionate
sull’onda della stanchezza e della rassegnazione. L’Italia è altrove, ha detto
al Senato il premier. Ha ragione.
Luigi Vicinanza – Editoriale www.lespresso.it
- @vicinanzal – 28 aprile 2016 -
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