Dimenticate Pitoni e alligatori. La pelle del futuro, in
fatto di abbigliamento, potrebbe essere quella di pesce: sogliola, spigola,
orata, murena, palombo, pesce siluro, razza. Pesci dell’Adriatico, insomma. Ci
stanno lavorando alla cooperativa Blue. Marine Service di San Benedetto del
Tronto, con la collaborazione del biologo veneziano Michele Pellizzato. Il
progetto si chiama “Skin Fish” e riprende in versione mediterranea una pratica
relativamente diffusa in altre parti del mondo: Cina, Alaska e nord Europa,
dove naturalmente si usano altri pesci, per lo più salmone. In Italia ci aveva
provato negli anni Cinquanta Salvatore Ferragamo, testimonial Sofia Loren, ma
il progetto naufragò. Ebbene, l’amore per il mare ha indotto Giuseppe Illuminante
e Emanuele Trioli a sviluppare un proprio progetto con fondi europei, quelli
che spesso in Italia restano inutilizzati. Un’idea bizzarra? Meno di quanto si
possa pensare. Trioli e Illuminati hanno cercato in lungo e in largo in Italia
una conceria disposta a questo tipo di lavorazione. L’hanno trovata a Solofra,
in Campania. Il risultato? Pelli conciate e colorate, che a parità di
superficie sono più resistenti di quelle tradizionali, ricavate da ovini,
bovini o animali esotici, per lo più uccisi apposta. La pelle di una sogliola o
di un’orata può diventare il cinturino di un orologio. Oppure bigiotteria,
altra possibilità molto promettente. Alcune aziende marchigiane, e altre
venete, hanno manifestato interesse per l’opportunità. (..).Nel 2014, ad
esempio, Trioli e Illuminati si sono occupati di cassette per il pesce: quelle
in polistirolo degradato in centinaia di anni; le loro, in “biopolimero”, in
soli due mesi, e possono essere usate nel settore ittico, ma anche nel caseario
e nel florovivaistico. La produzione verrà avviata a breve in collaborazione
con un’azienda olandese. Non è tutto- Per i suoi progetti sull’ecosostenibilità
marina, come quelli dedicati alle proliferazione di lumachine di mare o alle
uova di seppia, la cooperativa Blu Marine Service siede da due anni al tavolo
della Fao dedicato al Mediterraneo che si prefigge la gestione razionale delle
risorse marine viventi e lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura. Dopo una
sperimentazione nelle Marche, il progetto sulla lumachina è stato tradotto in
pratica a Ortona; i primi risultati sono buoni, i dati definitivi si
conosceranno proprio quest’anno. La Blue Marine Service ha già partecipato al
Salone del Gusto di Torino e allo Slow Fish di Genova, invitata a presentare il
proprio progetto di recupero del pesce secco, antica tradizione molto diffusa
tra i pescatori. Troli e Illuminato hanno usato tracine, moli, moscardini e
merluzzetti, trattati in essiccatori
solari. Un tipico prodotto della tradizione marinara che potrebbe
tornare sulle nostre tavole.
Giovanni Desideri – Pellami – L’Espresso – 31 marzo 2016 -
Nessun commento:
Posta un commento