La
situazione Finanziaria
Nel
2008 l’economia in tutto il mondo subì la crisi
più grave dai tempi della Grande Depressione del 1929. Alle origini di questa crisi, che come nel 1929 scoppiò
negli Stati Uniti, c’erano stati una serie di cambiamenti nel sistema finanziario,
ma il vero e proprio evento scatenante fu un enorme calo nei prezzi delle case.
Questo calo danneggiò il sistema
finanziario americano (banche, compagnie di assicurazioni, società che emettono
mutui, etc.), ma anche numerose industrie che dipendevano dai crediti delle
banche, che nel frattempo smisero di prestare denaro.
La crisi portò alla recessione le
economie di tutto il mondo, che in qualche modo sono collegate a quella degli
Stati Uniti, e nonostante i tentativi di salvataggio messi in atto dalla
politica in tutto il mondo, le conseguenze della crisi furono piuttosto gravi e
per molti versi continuano tuttora.
Alle origini della crisi ci fu (e c’è ancora)
un forte
squilibrio, tipico dei nostri giorni, tra il mondo della finanza e la vera e
propria economia del mondo - quella che si basa sui beni e
sui servizi. In un solo giorno il valore generato dagli scambi finanziari era
di circa 60 volte superiore al valore generato dal commercio di beni reali in
un anno. E nel 2006, un anno prima dell’inizio della grande crisi, il 40% dei
profitti nel mercato degli Stati Uniti derivavano
dalle attività finanziarie: insomma, il denaro in circolazione aveva (ed ha
tutt’ora) un valore molto alto rispetto ai veri e propri beni in circolazione
nel mondo. Questa tendenza non era nuova, ma a renderla più forte che mai
furono una serie di riforme al
sistema finanziario degli Stati Uniti fatte negli anni
‘90.
Gli Stati Uniti decisero di ridurre le regole della
finanza per rendere il sistema più libero ed efficiente,
abolendo alcune autorità di regolazione e di vigilanza che risalivano
addirittura agli anni ‘30. Il momento più importante fu nel 1999, quando il
presidente degli Stati Uniti Bill Clinton liberalizzò gli scambi finanziari tramite
la Gramm-Leach-Bliley act, anche conosciuta
come legge di modernizzazione dei servizi finanziari.
Allo scopo di facilitare la speculazione, in particolare per quanto
riguarda le materie prime, questa legge introduceva le holding bancarie, veri e propri
‘giganti finanziari’ in grado di riunire diverse banche e compagnie di
assicurazioni, per offrire qualunque tipo di servizio finanziario. Prima di
allora soltanto le banche ‘commerciali’ avevano potuto raccogliere e custodire
i conti delle famiglie americane, mentre gli investimenti più azzardati
dovevano essere fatti da un altro tipo di banche: le banche di investimento.
Questi due tipi di banche non potevano fondersi in una holding. La principale conseguenza della legge di modernizzazione
del 1999 fu che i risparmi delle famiglie iniziarono ad essere utilizzati per
operazioni finanziarie piuttosto rischiose: le banche potevano
indebitarsi a dismisura e allo stesso tempo prestare denaro senza sufficienti
garanzie di riaverlo indietro. Tutto questo metteva a rischio, come vedremo,
l’economia di tutto il mondo.
Le cause della crisi
All’origine
della crisi ci sono i mutui casa.
Chi voleva ottenere un mutuo per acquistare una casa negli Stati Uniti,
esattamente come in Italia, doveva garantire alla banca almeno due cose: un
reddito costante, ed un bene patrimoniale (possibilmente un’altra casa su cui
mettere un’ipoteca).
Negli anni ‘90, la liberalizzazione del settore finanziario americano stava cambiando le cose
rapidamente. L’ultima novità sul mercato era un tipo particolare di mutuo per
la casa, accessibile anche a chi è privo di patrimonio o di un reddito
costante: i mutui subprime. Con i mutui subprime moltissime persone possono comprare una
casa, ma a condizioni molto svantaggiose. Spesso questi mutui appaiono molto
convenienti, ma contengono clausole che potevano gonfiarli a dismisura dopo
qualche anno: negli anni ‘90, e 2000 molti americani ottennero mutui subprime e si indebitarono in modo piuttosto
gravoso.
Le
banche che concedevano questi mutui non si limitavano a ricevere i pagamenti
mensili da parte dei debitori: il più delle volte mettevano il proprio credito
verso le famiglie sul mercato, liberandosi così dei rischi. se una famiglia non
fosse riuscita a pagare il proprio mutuo, il problema sarebbe stato delle
istituzioni (come la Fannie Mae)
che acquistavano il credito. A loro volta, chi acquistava i mutui poteva spesso
rivenderli ancora ad altri investitori per generare titoli che possono essere
collocati sul mercato, come i ‘mortgage-backed security’ (MBS). In altre parole, i mutui delle famiglie venivano ‘impacchettati’ in titoli
finanziari venduti ed acquistati sul mercato. Il risultato erano dei titoli
venduti in borsa, il cui valore dipendeva dai mutui e dal prezzo delle
case.
All’epoca si contava sul fatto che,
tranne rari casi, la maggior parte delle famiglie avrebbero comunque ripagato i
propri mutui. A comprare questi titoli erano moltissimi soggetti: banche,
assicurazioni, fondi pensione e persino risparmiatori privati. I titoli
generati dai mutui circolavano, generavano ricchezza e crescevano di valore,
mentre le banche scaricavano al di fuori il rischio di mutui non
pagati.
Per
scongiurare il rischio dei mutui non pagati, si ricorse poi ai credit
default swaps (CDS):
contratti attraverso cui gli assicuratori si assumevano il rischio del
fallimento (default)
per conto delle banche in cambio di importi periodici. Proprio come succede con
un’assicurazione, chi comprava un CDS avrebbe ricevuto una somma molto alta in
caso di fallimento. Molto presto anche i CDS, teoricamente uno strumento di
assicurazione, vennero comprati e venduti da istituzioni finanziarie in
pacchetti. Ancora una volta, si pensava che i mutui fossero un investimento
sicurissimo.
Nel 2008 il credito ‘assicurato’ in
questo modo ammontava a 6200 miliardi di dollari: una cifra da capogiro. Finché
i prezzi delle case continuavano a salire, tutto andò bene. Ma questo sistema
poggiava su una base relativamente fragile: il mercato immobiliare.
L’evoluzione
Alla fine di settembre del 2007, il numero di persone in ritardo con
il pagamento dei mutui iniziava ad aumentare in modo preoccupante, insieme ai
processi esecutivi da parte dei creditori: chi non riusciva a pagare i mutui subiva
pignoramenti e vendite forzate. I prezzi delle case erano in
caduta libera, e quindi gli americani avevano paura di investire. Tutto questo
causò una vera e propria ‘crisi del credito’: le banche, in forte perdita,
potevano erogare meno denaro alle imprese e alle famiglie. Senza prestiti,
molte imprese non potevano più investire, e per questo dovevano ridurre la
produzione, e spesso persino chiudere. Questo causò immediatamente un calo
delle occupazioni ed anche dei consumi. La crisi finanziaria aveva
provocato immensi problemi nel mercato reale.
Per di più, con il crollare dei prezzi delle case, i titoli garantiti
dai mutui, spezzettati poi in ulteriori titoli derivati, perdevano quelle
solide basi su cui si era fondata la finanza degli ultimi anni. Il 15 settembre del 2008 la Lehman Brothers,
una delle più importanti banche d’affari di questi anni, fallì.
Come molte altre società simili, la Lehman Brothers aveva acquistato mutui
emessi da piccole società finanziarie per farne titoli derivati e generare
denaro su basi molti rischiose. Stavolta però il Congresso degli Stati Uniti
non intervenì, come aveva già fatto per altre banche negli scorsi mesi, per
salvare la società dalla bancarotta: la scelta sarebbe stata troppo impopolare.
Con la Lehman Brothers crollava il mondo dei titoli basati sui mutui.
Presto la
crisi divenne un fenomeno globale, perché molte imprese, famiglie e governi in tutto il
mondo investono nella borsa americana, subendo forti perdite nel caso di crolli
della borsa americana. Anche le banche multinazionali subivano il contagio a
causa del delevaraging: per far fronte alle perdite le banche vendono molte attività per
limitare le perdite e per avere denaro liquido da restituire a clienti e
creditori. Con la grande crisi internazionale, moltissime banche iniziarono a
vendere titoli nello stesso momento, provocando un crollo della fiducia a
livello internazionale.
Un’altra importante conseguenza fu un enorme calo delle
esportazioni di beni e di servizi da tutto il mondo verso gli Stati Uniti, i più grandi importatori del mondo.
Nel 2009 il commercio internazionale era crollato in modo impressionante, e la
crisi era ormai globale.
Gli effetti della
crisi
Quando c’è una crisi finanziaria, i soldi depositati ed
investiti dalle persone sono in pericolo, e chi ha del denaro in banca cerca di
recuperarlo. Questo spiega le file di persone di fronte alle banche in un
periodo di crisi. Una banca raccoglie i soldi di migliaia, se non milioni di
persone, e per questo motivo i governi misero in pratica una serie di interventi
per salvare le banche. In alcuni casi i governi diventano
azionisti delle banche, assumendo su di sé il debito, che in questo caso
diventa debito pubblico. In altri casi ci sono stati interventi diretti
sull’economia, rinforzandola con prestiti delle banche centrali che ammontano a
milioni di dollari: così fece il neoeletto presidente Obama all’inizio del
2009.
In Europa una
serie di banche vennero comprate dagli stati (i casi più
importanti sono stati in Germania, Gran Bretagna e
Paesi Bassi) o finanziate
da investitori privati per essere salvate dalla crisi. In Grecia nel dicembre
del 2008 la stagnazione economica ha causato una serie di tumulti. Anche paesi
come l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo e l’Italia
hanno dovuto ricorrere a misure di austerity per far fronte alla crisi, causando una serie di
problemi politici, oltre che economici. L’Islanda si ritrovava praticamente in
bancarotta, con le tre maggiori banche del paese in fallimento. In Asia le
maggiori economie soffrirono gli effetti della crisi in modo per lo più
indiretto, ma non per questo indolore: Asia e Giappone, due grandi
importatori, subirono le dure conseguenze di un enorme calo della domanda da
parte dei consumatori europei e americani.
Al di fuori del settore finanziario, l’industria che soffrì maggiormente la crisi fu
quella automobilistica sia negli Stati Uniti che in Asia
ed in Europa. La pressione della crisi finanziaria spinse gli stati a
collaborare di più: i venti paesi più ricchi del mondo si riunirono nel G-20
(Gruppo 20) alla fine del 2008 a Washington per iniziare a trovare una
soluzione collettiva alla crisi. Gli effetti della crisi, tuttavia, si
sarebbero protratti per almeno altri 4 anni, ma secondo molti economisti non
sono ancora del tutto finiti.
https://www.studenti.it/la-crisi-finanziaria-spiegazione-e-cause.html
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