20 luglio 1969:
l’uomo sbarca sulla Luna
Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità. Una manciata di parole, pronunciate da un emozionato Neil
Armstrong e preparate prima ancora della storica missione Apollo 11, che ancora
oggi suscitano in tutti emozioni forti, ricordandoci che, per quanto sembri
impossibile, il
19 luglio 1969 l’umanità ha posato il proprio piede sul suolo lunare.
Una conquista fantascientifica per l’epoca, seguita da un apparente perdita di
interesse nella conquista del cosmo negli anni seguenti, che solo recentemente,
grazie all’interesse di compagnie private, come SpaceX o
Virgin, è tornata prepotentemente alla ribalta. Lo sguardo ora è puntato verso
il pianeta rosso, visto da molti visionari come la nostra prossima casa tra le
stelle, ma non possiamo dimenticare come la conquista di Marte debba molto, se
non tecnicamente quantomeno spiritualmente, allo storico allunaggio del luglio
1969.
Una conquista che, a ben vedere, ha
profondamente impattato sulla società del periodo, dando origine a un
moto di orgoglio patriottico per gli States, ma anche a uno dei primi grandi
casi di teoria del complotto, considerato come per molti sedicenti esperti la
missione dell’Apollo 11 era una gigantesca messa in scena. Un evento storico
che come pochi altri, dunque, era riuscito a colpire l’immaginario collettivo,
spaccandolo in due. Eppure, al netto di fantasiose teorie, è innegabile
come la conquista della Luna sia una delle
tappe fondamentali della storia contemporanea, una missione temeraria che, come
spesso accade, ha una radice profonda negli ambienti militari.
Sarebbe poco etico scindere la conquista
del suolo lunare dall’atmosfera sociale del periodo. Al termine della Seconda
Guerra Mondiale, la spaccatura del mondo in due blocchi, infatti, aveva
radicalmente cambiato l’assetto internazionale, con l’Europa vista come terreno
di scontro tra Stati Uniti e U.R.S.S.. Una guerra combattuta diversamente da
quelle precedenti, animata dalla paura dell’atomica e dalla ricerca della
supremazia a scapito dell’antagonista in ogni campo, compreso
quello scientifico. Spinti dalla fascinazione da sempre esercitata dal cosmo, le due
superpotenze rivolsero quindi allo spazio il loro sguardo, rendendolo un nuovo
terreno di scontro, bramosi di battere il concorrente come dominatori del
cosmo.
In una prima fase, a
guidare l’avanzata umana tra le stelle erano i sovietici. A loro va tributato
il primato di aver messo in orbita il primo satellite nell’ottobre del 1957,
dando il via a una frenetica corsa allo spazio che pochi giorni dopo, il 3
novembre 1957, rese la cagnetta Kudrjavka (meglio nota come Laika) il primo
essere vivente a viaggiare nello spazio. Una serie di grandi conquiste che
culminò nel 1961, quando il cosmonauta Yuri
Gagarin, il 12 aprile, divenne il primo uomo lanciato nello spazio, a bordo della
navetta Vostok 1. Toccò quindi all’astronauta sovietico
dare al mondo la prima impressione del nostro pianeta visto dallo spazio:
“Il
cielo è molto nero, la Terra è azzurra. Tutto può essere visto molto
chiaramente”
Per gli
americani, questo fu un duro colpo. Il programma spaziale statunitense,
infatti, sembrava arrancare dietro ai sovietici, con una serie di fallimenti
nella creazione di vettori piuttosto preoccupante, tanto che lo scienziato
incaricato del progetto, Wernher
von Braun, mostrava una certa preoccupazione. Comprensibile, considerato che Von
Braun era stato graziato dal governo americano all’indomani della sconfitta
della Germania nazista, di cui lo scienziato era stato una delle menti più
attive, creando i temibili razzi V2. Assieme a un nutrito gruppo di quasi 500
tecnici, von Braun aveva patteggiato la sua salvezza con gli States promettendo
di realizzare razzi di incredibile potenza, inizialmente con scopo militare, attraverso
l’Operazione Paperclip.
Alla nascita della rivalità con i
sovietici per la conquista dello spazio, Von Braun e i suoi tecnici furono
messi al lavoro per creare dei razzi
vettori che garantissero la supremazia americana nella corsa alle stelle, una speranza che
sembrava non cogliere il successo sperato. Una lunga sequenza di tentativi poco
fortunati, costellata di nomi come Mariner, Jupiter e Juno, che divennero
presto simbolo della fatica con cui gli States cercavano il
terreno perduto nella loro corsa con i rivali sovietici.
Una ricorsa che si concluse quando gli
Stati Uniti decisero di tentare l’impossibile, ponendosi un obiettivo che a
Mosca venne ritenuto talmente improbabile da spingere i vertici sovietici a
lasciare che il rivale americano di scontrasse con questo progetto troppo
ambizioso per essere vero: conquistare
la Luna.
Volendo fare un parallelo storico, la
conquista della Luna rientra in un periodo di grande slancio della società
americana, coincisa con l’elezione di Kennedy nel novembre del 1960. Fu proprio
questo presidente rivoluzionario per i suoi tempi, arrivato dopo la presidenza
del più duro Eisenhower, a ridare al popolo americano una concezione
differente, animando lo spirito statunitense appellando ai suoi tratti più
nobili, presentando al mondo un’immagine differente degli States tramite
accorati discorsi, come il celebre Ich bin
ein Berliner. Una rivoluzione sociale profonda, che Kennedy
estese al campo spaziale, quando nell’estate del 1962 stupì il mondo con una
dichiarazione perentoria:
“Abbiamo
deciso di andare sulla Luna. Abbiamo deciso di andare sulla Luna in questo
decennio e di impegnarci anche in altre imprese, non perché sono semplici, ma
perché sono ardite, perché questo obiettivo ci permetterà di organizzare e di
mettere alla prova il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità,
perché accettiamo di buon grado questa sfida, non abbiamo intenzione di
rimandarla e siamo determinati a vincerla, insieme a tutte le altre”
Kennedy, come ci insegna la Storia, non
vide il realizzarsi di questa sua ambizione, ma entro
il decennio la sua promessa si realizzò. Una sfida incredibile, scientifica e
umana, che spinse al limite le capacità degli scienziati americani e dei
militari che diventarono il corpo di astronauti che avrebbe realizzato
l’impossibile. Ancora una volta, comunque, era il
contesto militare ad animare questa sfida: tutti i futuri cosmonauti, infatti,
erano ufficiali delle forze armate.
Armstrong,
Collins e Aldrin, il trio lunare, erano veterani di guerra, con un trascorso
operativo in zone come la Corea, dove avevano servito il loro paese combattendo
il nemico comunista. Se da un lato questo li aveva temprati e aveva forgiato la
loro resistenza, dall’altro li esponeva anche a un severo giudizio, come quella
della giornalista Oriana Fallaci, che nei suoi
reportage dedicati a questo storico evento non nascose una certa acredine del
ritrarre il passato dei cosmonauti americani:
“Quando
fra cento o duecento o mille o duemila anni celebreremo lo sbarco sulla Luna,
faremo bene a ricordarci che i primi due uomini sopra la Luna furono due uomini
che avevano ucciso un mucchio di uomini in guerra”
Innegabile, a onore del vero, l’apporto
della macchina bellica alla conquista della Luna, incarnata dalla presenza di
scienziati del Terzo Reich o di piloti divenuti eroi di guerra in teatri di
guerra cruenti. Eppure, furono proprio queste caratteristiche, tra cui
l’accettazione dei rischi mortali, che condusse l’uomo a conquistare il nostro
satellite. Ruolo toccato a Armstrong e Aldrin, mentre Collins rimase a bordo
del LEM, che ebbero questo onore non tanto per particolari meriti, ma per una
serie di fortuite coincidenze, tra cui un ritardo nella progettazione
del LEM (Lunar Extraveicular Module), che spinse la N.A.S.A. a rimandare il
primo allunaggio inizialmente previsto con la missione Apollo 10 comandata da
Tom Stafford, preferendo puntare sull’Apollo 11. Una
vera e propria scommessa, tanto che persino von Braun era conscio di quanto
l’America si stesse giocando molto in questa sua incredibile avventura:
“Abbiamo fatto il massimo, ma a parte
tutto, ho bisogno di fortuna. Tutti ne abbiamo bisogno, ma io in modo
particolare”
Al netto di questa considerazione, che
vedeva in lotta per questo onore gli equipaggi di tre missioni Apollo, va anche
riconosciuto a Armstrong e compagni di aver dimostrato di essersi meritati
questo storico primato. Un riconoscimento tributato allo storico trio anche da
una figura leggendaria dell’avventura spaziale americana, Donald
Slayton, uno dei Mercury Seven, i pionieri dell’avventura spaziale a stelle
strisce e incaricato di selezionare gli equipaggio delle missioni Apollo, che
riconobbe il ruolo di Armstrong e compagni:
“Nessuno
è così ingenuo da accettare che tutti i 52 astronauti abbiano il medesimo
livello di preparazione, ma quelli che ho selezionato per le missioni Apollo
sono essenzialmente identici: un gruppo di giovani ugualmente allenati e
similmente preparati, tutti in grado di sbarcare sulla Luna e fare ritorno”
Armstrong era considerato dai suoi
colleghi come uno dei migliori piloti in attività, fiducia ripagata quando
dovette intervenire in fase di atterraggio, sostituendo alla strumentazione di
bordo (l’Apollo Guidance Computer) per consentire il giusto atterraggio. Un
sangue freddo che consentì ad Armstrong, alle 15:17 ora di Houston, di
pronunciare la frase che fece tirare un sospiro di sollievo al controllo
missione:
“Qui
base della Tranquillità, l’Aquila è atterrata”
E pensare che il presidente Nixon, scaramanticamente, si era preparato
anche un discorso con cui dare notiza alla
nazione della morte dei coraggiosi astronauti:
“Il destino ha voluto che gli uomini che
sono andati sulla Luna per esplorarla in pace restino sulla Luna per riposare
in pace”
Nel periodo degli anni
’50 e ’60, la fantascienza aveva a lungo sognato di compiere simili imprese, ma
spesso ne veniva anche presentata una visione in cui dallo spazio potevano
arrivare grandi pericoli per l’umanità. Dalla sci-fi alla scienza,
questo concetto non fu sottovalutato, tanto che al rientro dalla loro
missione, Armstrong e compagni furono inizialmente
messi in una quarantena preventiva, per evitare che la loro passeggiata
lunare potesse averli messi in contatto con patogeni lunari pericolosi per il nostro
mondo, la cosidetta back contamination, che si contrapponeva alla forward
contamination, ossia l’aver lasciato sul suolo lunare segni tangibili della
nostra presenza.
Per tranquillizzare gli astronauti e gli
scienziati, i tre cosmonauti americani vennero posti in isolamento in
un’apposita struttura, il Lunar
Receiving Laboratory, mentre alcune cavie animali venivano messe in contatto con le rocce
riportate dagli astronauti per scopi scientifici. Un’attesa tutt’altro che
rilassante, al punto che il mito vuole che Armstrong, solitamente freddo e
controllato, si lasciasse sfuggire degli incitamenti agli animali sottoposti a
questa esposizione, sperando che la loro sopravvivenza fosse un segno positivo
anche per sé stesso e i suoi due compagni.
Fantascienza, dicevamo. La stessa che
spinse a far subito emergere dei dubbi sulla verità della missione lunare. A
poco valse l’accorata telecronaca dell’evento di Walter
Cronkite, che raccontò agli americani gli istanti più intesi di questo storico
evento (per gli italiani fu l’emozionata voce di Tito
Stagno a portarci idealmente sulla Luna), in molti iniziarono a dubitare che
l’uomo avesse realmente conquistato il suolo lunare. Nacquero
immediatamente delle leggende metropolitane che portarono alla nascita di
cospirazioni e falsi miti, come l’idea secondo la quale fu chiamato nientemeno
che Stanley Kubrick a dirigere il film utilizzato come dimostrazione
dell’avvenuto allunaggio. Un’operazione svolta sotto coercizione, con il
governo che teneva in ostaggio suo fratello Raul, vicino ad ambienti
comunisti. Poco importa che Kubrick non avesse un
fratello di nome Raul, il danno era fatto, e da allora, con la complicità di sedicenti esperti
come William Kaysing e il suo saggio
complottista We Never Went to The Moon, fu un continuo
fiorire di bislacche teorie che sostenevano l’impossibilità di quanto invece
raccontato dalla N.A.S.A.
Al netto di queste curiose
fantasticherie, va riconosciuto che lo
sbarco sulla Luna fu un evento epocale perché concretizzava quella che
era da sempre una delle grandi aspirazioni umana: mettere piede sul nostro
satellite. La Luna ha sempre esercitato un grande
fascino sull’immaginazione umana, è parte integrante del corpus
mitologico umano, dai miti greci alla letteratura epica medievale. Ariosto, ad
esempio, elesse proprio la Luna come il luogo in cui finiva il senno di coloro
che ammattivano, ambientandovi un frammento del suo Orlando
Furioso.
Non è un caso che quando la letteratura
d’anticipazione, antesignana della fantascienza, fece la sua apparizione, uno
dei suoi padri nobili, Jules Verne, vedesse nella
conquista della Luna una delle più grandi avventure umane. Nel suo Dalla Terra
alla Luna, il romanziere francese si rende protagonista di una sorprendente
lungimiranza, azzeccando tempi e posizione geografica ideale per una missione
lunare. Altri scrittori celebri videro nella Luna una meta sicura del nostro
futuro, come Arthur
C. Clarke, che nel 1948 la rese l’ambientazione del suo racconto La
Sentinella, opera da cui poi lo scrittore trasse il suo romanzo più noto, 2001:
Odissea nello Spazio o Paul Hogan, che vide nei misteri della Luna la scintilla vitale del
suo Ciclo dei Giganti.
Una volta resa reale
la conquista della Luna, l’immaginario collettivo la vide ancor di più come una
destinazione facilmente raggiungibile. Specialmente negli anni immediatamente
seguenti al successo dell’Apollo 11, con nuove missioni che tornarono a
calpestare il suolo lunare, la sci-fi vide
come imminente una presenza umana fissa sul nostro satellite. Da queste
suggestioni nacquero opere come Spazio 1999, decine di racconti
di fantascienza e una tradizione letteraria che ha reso la Luna una presenza
fissa della narrativa sci-fi, dai fumetti (come il nostro Nathan Never) alla
musica.
Non meno interessato è
stato il cinema, che ha sempre interagito con questo evento storico, anche
affrontando in modo particolare la teoria del finto allunaggio, come fatto con
il celebre Capricorn One (1979). Fu soprattutto il lato oscuro della Luna a sedurre
la fantasia degli sceneggiatori, come nel recente Transformers
3,
che immagina che il programma Apollo fosse nato per recuperare una nave Autobot
schiantatasi nel 1961 proprio sul lato in ombra della Luna.
Sono molti i film che
vedono nella Luna una destinazione lontana eppure così familiare per l’uomo
moderno, come Moon di Duncan Jones o l’irriverente Iron Sky, senza dimenticare pellicole che
intendono invece ricordare gli eroi che hanno compiuto questa leggendaria
impresa, come First Man.
Fumetti, film, libri e
canzoni hanno omaggiato il fascino della conquista del suolo lunare, lo hanno
giustamente reso uno dei momenti fondamentali della nostra storia. Molto più di
un semplice passo, un salto coraggioso tra le stelle che, nonostante un brusco
arresto dopo la chiusura del Programma Apollo nel 1972, continua a solleticare
la voglia umana di esplorare il cosmo per arrivare dove nessuno è mai giunto prima.
https://www.tomshw.it/culturapop/20-luglio-1969-luomo-sbarca-sulla-luna/
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