La conferenza di pace di Parigi del 1919 fu una
conferenza di pace organizzata dai paesi usciti vincitori dalla prima guerra mondiale,
impegnati a delineare una nuova situazione geopolitica in Europa e a
stilare i trattati di pace con le potenze centrali uscite
sconfitte dalla guerra. La conferenza si aprì il 18 gennaio 1919 e durò fino al 21
gennaio 1920, con alcuni intervalli.
Da questi trattati la cartina d'Europa uscì completamente
ridefinita, in base al principio della autodeterminazione
dei popoli, concepito dal presidente degli Stati Uniti d'America Woodrow Wilson, nel
tentativo, in seguito rivelatosi fallace, di riorganizzare su base etnica gli
equilibri del continente europeo. Nel tentativo di creare stati
"etnicamente omogenei" sulle ceneri degli imperi multietnici di Austria-Ungheria e Turchia, furono
riconosciuti Stati di recente formazione, quali la Cecoslovacchia (Prima
Repubblica cecoslovacca) e la Jugoslavia (Regno dei Serbi, Croati e Sloveni),
destinati ad alimentare nuove tensioni ed instabilità, oltre ad esodi e
conflitti di popoli e nazioni. Il dibattito fu dominato dagli Stati Uniti,
dalla Francia e dall'Inghilterra, mentre l'Italia, pur figurando tra le quattro
grandi, ebbe un ruolo marginale. Alla conferenza parteciparono
solo i paesi vincitori, a eccezione della Russia che si era ritirata.
Antefatti
L'11 novembre 1918, giorno
dell'armistizio tra la Germania e le potenze alleate (detto armistizio di Compiègne), l'Austria si ritrovò senza impero e
la Germania senza imperatore. Ma i problemi che le nazioni sconfitte dovettero
affrontare non si limitarono a questo; entrambi i paesi si trovarono a dover
combattere le forze rivoluzionarie a sinistra e il militarismo a destra,
rivitalizzare un'economia distrutta, tenere alto il morale della nazione
bollata dal marchio della sconfitta e schiacciata dal peso oneroso della
"colpa della guerra", che si traduceva nel desiderio di recuperare i
territori perduti e nella ricerca di capri espiatori
La mattina del 1º dicembre le prime
truppe britanniche e statunitensi varcarono la frontiera tedesca verso le città
sul Reno, mentre a Vienna le autorità
locali inviarono a Berna l'ex ambasciatore
austro-ungarico a Londra, conte Mensdorff, a
colloquio con sir Horace Rumbold per richiedere
l'invio, da parte dei paesi vincitori, di derrate alimentari nella capitale
austriaca, in quanto il problema della fame diveniva ogni giorno più grave.
Dalla frantumazione dei quattro imperi
sconfitti emersero rapidamente nuovi stati. Il 1º dicembre, nel giorno in cui
le truppe Alleate entrarono in Germania, a Belgrado venne proclamato il Regno dei serbi, dei croati e degli
sloveni, che racchiudeva molte minoranze, tra le quali 500 000 ungheresi e
altrettanti tedeschi, e decine di migliaia di romeni, albanesi, bulgari e
italiani.
Il 4 dicembre, le truppe britanniche
entrarono a Colonia, dove istituirono una zona di occupazione, e nove giorni dopo arrivò in
Europa il presidente statunitense Wilson in vista della conferenza di pace che
si sarebbe svolta a Parigi
Il contesto storico
Il contesto storico in cui si svolsero
le trattative era però funestato dalle molte ombre del passato, dagli irrisolti
problemi delle frontiere, dalla sicurezza internazionale e dai frementi
nazionalismi non contenibili in un contesto che avrebbe dovuto salvaguardare le
minoranze e le identità nazionali. Le rivendicazioni rimaste in sospeso dopo
la catastrofe del 1870, la carica punitiva contro la Germania
e la sempre più pressante paura di una "rivoluzione bolscevica"
irrigidirono tutte le delegazioni, soprattutto quella francese, desiderosa di
impedire alla Germania di poterle più nuocere
Protagonista con poca fortuna delle
discussioni di Versailles fu il presidente statunitense Woodrow Wilson, che con i suoi Quattordici punti avrebbe dovuto
ispirare i negoziatori dei trattati e dare la risposta con cui l'Occidente
avrebbe contrastato l'assolutismo e il militarismo degli Imperi Centrali, e
l'internazionalismo leninistaMa questi quattordici punti, in cui si rivendicava
la nazionalità e l'autodeterminazione dei popoli nello stabilire le nuove
frontiere, si trovarono a dover competere con le diverse componenti
nazionalistiche nei Balcani, con la necessità di creare stati
"cuscinetto" contro la Russia bolscevica, con le rivendicazioni
italiane sugli slavi e con le rivendicazioni e i risentimenti che i francesi
covavano nei confronti dei tedeschi fin dall'epoca napoleonica[6]. Lo stesso Wilson ben
presto capì che i suoi programmi non sarebbero stati seguiti dagli altri
vincitori. In un incontro con Raymond Poincaré il 14 dicembre 1918 a Parigi, il presidente
francese espose a Wilson, quasi con ultimativa chiarezza, l'idea centrale della
presenza e dell'azione della delegazione francese alla conferenza: «la Germania
doveva essere punita per tutto quanto aveva fatto con e durante la guerra»
mentre Wilson fino ad allora non aveva mai parlato di "punizione", ma
solo di preparare una situazione in cui la classe dirigente tedesca,
aristocratica, autocratica e militarista, non avrebbe potuto più nuocere e ciò
avrebbe favorito una democratizzazione della nazione. Una dura
"punizione" avrebbe colpito, secondo Wilson, non l'autocrazia, bensì
proprio gli sviluppi democratici che in quel momento il popolo tedesco stava
faticosamente cercando. Nonostante ciò, Wilson conosceva la storia
"giacobina" della democrazia francese e nella sua risposta a Poincaré
appoggiò la necessità di condannare e rendere «giusto castigo» alla Germania
….
Avvio della conferenza
La conferenza di pace si aprì il 18
gennaio 1919 a Parigi (lo stesso giorno in cui,
quarantanove anni prima, fu solennemente proclamato l'impero tedesco), nella
sala dell'orologio del Quai d'Orsay, sede del ministero degli esteri
francese, con un discorso del presidente francese Raymond Poincaré.
Presidente effettivo della conferenza
venne designato Georges Clemenceau, il quale dichiarò:
«[…] Non si tratta di pace
territoriale o di pace continentale, ma di pace dei popoli. […] Tregua alle parole;
bisogna agire presto e bene]» |
(Georges Clemenceau) |
Il consiglio dei dieci — formato da
cinque capi di governo e cinque ministri degli esteri delle maggiori potenze
vincitrici (Stati Uniti, Italia, Francia, Gran Bretagna, nonché Giappone per
quanto riguardava l'Oriente) — trattò le questioni più importanti e le
risoluzioni pratiche. Il nuovo assetto politico e geografico dell'Europa fu
discusso e definito dai quattro "grandi"; Thomas Woodrow Wilson il presidente
degli Stati Uniti, Georges Clemenceau, primo ministro
francese, David Lloyd George, primo ministro
britannico, e Vittorio
Emanuele Orlando, presidente del consiglio italiano, coadiuvati dai
rispettivi ministri degli esteri, Robert Lansing, Stephen
Pichon, Arthur James Balfour e Sidney Sonnino.
La Russia, che per tre anni aveva
combattuto a fianco delle potenze Alleate impegnando duramente la Germania, il
15 dicembre 1917 era stata costretta all'armistizio di
Brest-Litovsk seguito dalla pace il 3 marzo 1918. Un comunicato ufficiale della
conferenza dichiarava che la sua rappresentanza non era esclusa, ma che
"le modalità saranno fissate dalla conferenza nel momento in cui esaminerà
gli affari russi". I paesi vinti, esclusi dai negoziati, furono ammessi
solo nella fase conclusiva, consegna e firma dei protocolli.
La conferenza fu un vero e proprio
terreno di scontro tra gli Alleati, e un modo per imporre alla Germania le
peggiori condizioni di resa e rendere gli sconfitti più "malleabili".
La Francia insistette per mantenere il blocco navale contro la Germania fino al
momento in cui non fosse stato firmato il trattato.
I danni di guerra
Il 25 gennaio la conferenza di pace
nominò una commissione per la riparazione dei danni di guerra, con il compito
di esaminare l'ammontare della somma che ciascuno degli stati sconfitti avrebbe
dovuto pagare per riparare i danni arrecati durante il conflitto. I
rappresentanti di Gran Bretagna, Francia e Italia pensavano di poter ottenere
un risarcimento pari all'intero costo della guerra; da ciò nacque la
preoccupazione del delegato belga, secondo cui, adottando questo sistema, il
suo paese sarebbe stato sfavorito nonostante fosse stato sconvolto per oltre
quattro anni da una guerra sulla quasi totalità del proprio territorio. Il
Belgio aveva infatti speso relativamente poco per combattere, mentre le sue
città e le sue campagne avevano sofferto i rigori e le distruzioni di quattro
anni di occupazione. La Gran Bretagna, d'altro canto, rivendicava i costi e le
perdite della guerra
sottomarina contro le sue flotte, e le incursioni aeree contro le sue città.
Mentre era in corso il dibattito, Lloyd
George si levò dalla discussione con tono moderato, chiedendo di aspettare due
anni prima di procedere, in modo tale da lasciar decantare le passioni e
aspettare che i prezzi inflazionati dai costi della guerra fossero tornati
quasi alla normalità. In ogni modo, né l'atteggiamento più morbido nei
confronti della somma da versare, né la decisione di rateizzare il pagamento
fino al 1º maggio 1961 — anche se un
miliardo di sterline dovevano essere versate entro il 1º maggio 1921 — servirono a
"consolare" i tedeschi. Era il concetto stesso di
"riparazione" a bruciare, perché imponeva alla Germania di pagare non
solo per la sconfitta sul campo, ma anche perché ritenuta responsabile di aver
provocato la guerra[13]. E proprio per obbligare la Germania a
firmare il trattato, gli Alleati si rifiutarono di togliere il blocco navale
fino a che la Germania non avesse firmato, assumendosi di fatto tutta la
responsabilità e la colpa della guerra.
La spartizione delle
colonie e le aspettative dell'Italia
«La mappa del mondo […] aveva più
parti in rosso di quante non ne avesse prima» |
(A.J. Balfour, ministro degli
Esteri britannico |
Un primo terreno di scontro tra gli
alleati fu costituito dalle ex colonie tedesche appena conquistate, che non
sarebbero state più restituite alla Germania. La soluzione adottata fu quella
di istituire un sistema di mandati che la Società delle Nazioni avrebbe affidato
alle potenze vincitrici. Tali mandati erano soggetti a condizioni. Quelli
di Africa e Pacifico, per esempio, imponevano di non
impegnarsi nel commercio degli schiavi
I territori turchi furono distribuiti
con diversi mandati; la Francia ebbe la Siria e il Libano, la Gran Bretagna ebbe la Mesopotamia
(l'attuale Iraq) e la Palestina, nella cui parte occidentale si impegnò
a creare un "focolare" per gli ebrei. Il Sudafrica fu ricompensato per il suo sforzo
bellico con un mandato sull'Africa
sudoccidentale tedesca. Il Camerun e il Togo furono spartiti
tra Gran Bretagna e Francia. Nel Pacifico, dove le colonie tedesche erano
passate già in altre mani nel 1914, allo scoppio della guerra il Giappone ottenne un mandato sulle isole Marianne, Caroline e Marshall, la Nuova Zelanda su Samoa e l'Australia sulla Nuova Guinea Tedesca. Mentre Nauru, ricca di fosfati e
ambita da Australia, Nuova Zelanda e Gran Bretagna, fu affidata, com'era
prevedibile, all'Impero britannico[16].
Non pochi dei paesi vincitori rimasero
scontenti. Il Belgio si vide negare l'assegnazione dell'Africa
Orientale tedesca, che aveva occupato e che avrebbe voluto conservare,
ricevendo in cambio il Ruanda-Urundi, un territorio senza sbocchi sul mare.
Sugli stessi territori aveva messo gli occhi anche il Portogallo, ma siccome erano ambiti anche dalla
Gran Bretagna, dovette accontentarsi del "triangolo di Kionga", nel Mozambico settentrionale. L'Italia chiese
mano libera per i commerci con l'Abissinia, ma tale richiesta fu respinta, così
come per l'Africa settentrionale e orientale, dato che avrebbero potute esser
soddisfatte solo a spese di Francia e Gran Bretagna (e quest'ultima fece la
parte del leone nella distribuzione delle colonie)[15]. Un tentativo di ingrandire le colonie
italiane oltre il Corno d'Africa era quello di un'espansione che andasse
dal mar Mediterraneo al golfo di Guinea. Il progetto non venne mai esplicitato
pubblicamente, ma fu chiaro durante le trattative per il trattato di
Versailles (1919), dopo la prima guerra mondiale, che causò frizioni
diplomatiche con la Francia. Per realizzare questa intenzione,
avendo già formale possesso della Libia, il corpo diplomatico
italiano chiese di avere la colonia tedesca del Camerun e cercò di ottenere, come compenso
per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia
all'Italia. Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla Francia e
l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba, oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia
e ed il Ciad, possedimento
francese.
Una delle richieste italiane durante il
trattato di Versailles dopo la prima guerra mondiale fu quella di annettere
la Somalia francese e il Somaliland in cambio della rinuncia alla
partecipazione nella ripartizione delle colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Il tentativo non ebbe seguito. Fu
l'ultima manovra dello Stato liberale, prima del fascismo, relativa alla penetrazione nel Corno d'Africa.
…
https://it.wikipedia.org/wiki/Conferenza_di_pace_di_Parigi_(1919)
Nessun commento:
Posta un commento